martedì 7 febbraio 2017

Dieselgate, Fca paga per la sua miopia. Il futuro è elettrico

Articolo apparso sul "Fatto Quotidiano" il 13 Gennaio 2017


di Ugo Bardi

Ancora nel giugno del 2016, Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), dichiarava pubblicamente che “le auto elettriche non sono il futuro”. Quasi subito dopo, tuttavia, Marchionne già cominciava a ripensarci e, in un recente articolo sul Sole 24 ore, si parlava di “svolta” con l’annuncio dell’aggiunta di veicoli 100% elettrici alla linea di produzione di Fca.

Si dirà “meglio tardi che mai”, certo, ma in questo caso il tardi è stato decisamente troppo tardi. L’annuncio del nuovo “dieselgate, dopo quello della Volkswagen del 2015, è stato un duro colpo per il gruppo Fca che si ritrova a non essersi saputo preparare per il futuro per una combinazione di incapacità di innovare, e mancanza di visione.

Quello che Marchionne e i suoi collaboratori hanno mancato di comprendere è la rivoluzione tecnologica che sta investendo il mondo dell’auto. La tecnologia che spinge i veicoli di oggi è ormai vecchia di oltre un secolo e quasi tutto quello che gira sulle nostre strade è oggi obsoleto altrettanto di come lo erano le macchine da scrivere quando sono state sostituite dai personal computer. Certo, ci eravamo abituati ai vecchi motori rombanti, una storia d’amore che risale al tempo della motorizzazione di massa degli anni 50. Ma quel tempo è ormai finito. Non ci possiamo più permettere questi arnesi puzzolenti, rumorosi e terribilmente inefficienti.
Pensate che un motore per autotrazione può avere un’efficienza, se va bene, del 25%, mentre un motore elettrico arriva tranquillamente all’80% e può fare anche di meglio. In più, dura anche molto più a lungo di un motore a scoppio. Ma la sentenza di morte per i motori a scoppio non arriva tanto dalla loro inefficienza, quanto dai limiti a quello che la tecnologia può fare per limitare i danni dovuti ai gas creati dalla combustione. Non che non si possa fare niente: i vari filtri tipo marmitta catalitica e filtri antiparticolato fanno quello che possono ma è impossibile ormai migliorare ulteriormente delle tecnologie che sono state ottimizzate al massimo. E nessun filtro può evitare l’emissione di gas climalteranti (anidride carbonica) da motori che bruciano combustibili fossili.

Dagli ultimi scandali che sono emersi, sembra evidente che l’ultima frontiera non era tanto la tecnologia ma cercare di svicolare i controlli (se non apertamente di imbrogliare). In sostanza, è finita un’epoca, l’epoca del motore a scoppio.
Ormai l’auto elettrica ha sbaragliato ogni competizione; al massimo avremo un periodo di transizione basato sulla trazione ibrida. Ma il futuro è chiaro, facciamocene una ragione: è un futuro tutto elettrico. Ed è anche un futuro più pulito.

venerdì 3 febbraio 2017

Una Vigna per le Case Automobilistiche: Il Disastro delle Rottamazioni

In questo articolo, Leonardo Libero mette il dito sulla piaga di un classico esempio di "greenwashing"; la rottamazione di vecchie auto ancora perfettamente in grado di funzionar. Il tutto fatto in nome dell'ecologia ma, in realtà, per fare un piacere alle case automobilistiche. Avrebbe avuto senso fare provvedimenti seri per passare a veicoli veramente a emissioni zero, come quelli elettrici ma si è preferito fare una politica che, in preatica, ha perpetuato la dipendenza del nostro sistema di trasporto stradale dai combustibili fossili. Ma gli errori si pagano, come si è visto nei recenti scandali che hanno riguardato la Volkswagen e la Fiat. E ora si tratta di passare ai veicoli elettrici partendo quasi da zero, una cosa che si sarebbe potuto e dovuto fare vent'anni fa. (UB)


Di Leonardo Libero




Nel 1966 il signor Irvin Gordon di Anchorage, Alaska, aveva acquistato un’auto da 1.770 cc di cilindrata, quindi piccola per un cittadino USA, e guidandola ogni giorno per 47 anni, al settembre 2013 le ha fatto percorrere quasi cinque milioni di chilometri - per la precisione,4.890.980 – che sono 12,7 volte la distanza dalla Terra alla Luna (http://thecarguys.my/2013/09/3-million-miles-volvo-1800s-120-laps-around-the-world/ ) .

Quell’auto, sia onore al merito, è una Volvo, ma è noto che Mercedes prevede per i suoi clienti una scala di premi al raggiungimento di 250.000, 500.000, 750.000, 1.000.000 e 1.610.000 chilometri ( https://en.wikipedia.org/wiki/Car_longevity), e che tutte le auto di tutte le Case sono progettate e prodotte per raggiungere una percorrenza di almeno 250.000 chilometri (http://business.time.com/2012/03/20/what-you-only-have-100k-miles-on-your-car-thats-nothing/ .

Nonostante tali attestati sulla possibile durata di un’auto, molti automobilisti europei sono costretti a sostituire ogni pochi anni la loro, anche se con pochi chilometri e in buono stato, con un’altra nuova, che dovranno sostituire anch’essa dopo pochi anni, anche se in buono stato e con pochi chilometri. Ciò accade dal 1992, con l’entrata in vigore della prima direttiva CEE sulle emissioni dei veicoli a motore, nei Paesi che, come l’Italia, hanno scelto di dare esecuzione a quella direttiva, e alle successive (*), non soltanto obbligando le Case a produrre o importare, da una certa data, solo veicoli meno inquinanti di quelli prodotti o importati in precedenza, ma anche forzando i cittadini ad acquistarli, se per qualunque motivo essi devono poter circolare sempre, con limitazioni “ambientali” del traffico dalle quali esentano solo le più recenti.

Una “scelta” che si fa sospettare frutto di lobbying, o peggio, in un Paese come il nostro, che anche nella classifica per corruzione percepita 2016 è 61mo, dietro ad alcuni del Terzo Mondo, però ha nelle sue carceri solo 228 condannati in via definitiva per reati economico-finanziari, mentre nelle carceri della Germania - 10ma in quella classifica - ce ne sono oltre 6.000 ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/24/corruzione-miracolo-italiano-siamo-primi-per-le-tangenti-ultimi-per-i-colletti-bianchi-in-carcere/2667976/ )

Una scelta oltretutto controproducente. Perché non ha ridotto l’inquinamento, che è anzi aumentato, e perché la grossa “vigna” che ci hanno potuto piantare le Case, oltre a pesare sui bilanci delle famiglie ed a sottrarre entrate agli altri settori economici, causa un enorme spreco di ENERGIA nuocendo così proprio a quell’Ambiente che le Direttive UE vorrebbero proteggere.

Il 66% dell’elettricità mondiale, infatti, è ancora tratta da fonti fossili, e per il 39% dall’inquinantissimo carbone (http://www.tsp-data-portal.org/Breakdown-of-Electricity-Generation-by-Energy-Source#tspQvChart). La sua produzione fa perciò emettere molta CO2, che è il principale responsabile dei cambiamenti climatici, nonchè particolato, CO, SOx, NOx, cioè gli stessi inquinanti per i quali si criminalizzano i motori diesel ( http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/en09-emissions-co2-so2-and/emissions-co2-so2-and-nox )

Come accennato, la percorrenza minima programmata per tutte le auto è di 250.000 chilometri. Ed è quindi al raggiungimento di almeno quel traguardo che il loro “costo energetico” può dirsi ammortizzato. Ma la percorrenza media annua delle auto per esempio italiane è stata nel 2015 di soli 11.000 km ( http://www.earthday.it/Citta-e-trasporti/Gli-italiani-in-automobile-11mila-km-l-anno ) e di 12.000-13.000 nel decennio precedente. Per cui la maggioranza di quelle rottamate per “ragioni ambientali” ha impiegato (o avrebbe impiegato ) circa 10 anni per ammortizzare appena la metà di quel costo.

La rottamazione-sostitutiva di un'auto con meno di 250.000 chilometri comporta quindi: a)- lo spreco della quota del suo costo energetico non ancora ammortizzata; b)- l'anticipata "spesa" del costo energetico della rottamazione, non grande, ma nemmeno trascurabile; c)- l'anticipata "spesa" dell’ingente costo energetico dell'auto sostitutiva.

La misura del danno climatico così prodotto deve quindi partire dal costo energetico medio di una auto; che secondo Wikipedia è di circa 30.000 kWh ( pari 10 anni di consumi elettrici di una famiglia media ) (https://de.wikipedia.org/wiki/Graue_Energie#cite_note-.C3.96BUJF-2).

Perciò, poiché in Europa si vendono auto prodotte in tutto il mondo e poiché la media mondiale di CO2 emessa per ogni kWh prodotto è stata, per esempio nel 2014, di 518 grammi ( https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_carbon_dioxide_emissions ) si può affermare che produrne una in quell’anno ha causato l’emissione di 30.000 x 518 = 15.540.000 grammi = 15,54 tonnellate di CO2 , che le 13.006.451 vendute nel 2014 in Europa, spesso per sostituirne altre rottamate, ne ha fatto emettere 13.006.451x15,54 = 202.120.248,54 tonnellate ed osservare che è stato anche per quel non trascurabile contributo se nel 2015 il tasso atmosferico di CO2, che negli 800.000 anni precedenti non era mai andato oltre le 300 parti per milione, e raramente oltre le 250, ha raggiunto e superato le 400:


L’idea che quella scelta avrebbe fatto diminuire l’inquinamento urbano poteva essere plausibile, ma solo fino al 1999, anno in cui il prof. Hans Peter Lenz, dell’Università di Vienna, pubblicò i risultati di accurate ricerche, fatte da lui e dal suo staff in Germania ed in Austria, nel libro “Emissions and air quality” (https://www.abebooks.com/Emissions-Air-Quality-Hans-Peter-Lenz/12686586853/bd ). Essi avevano infatti rivelato che i veicoli a motore termico NON SONO la principale fonte di inquinamento e che della quota minoritaria con la quale vi concorrono la maggior parte NON E’ quella prodotta dai motori bensi quella sollevata da terra dalle ruote.

Peccato che quel libro ed il suo illustre autore siano stati ignorati dalla “grande informazione” cartacea e non, ed anche da quella del settore motoristico, con la sola eccezione, in Italia, del mensile “Auto” che nel 2006 ha pubblicato questo articolo dell’ing. Enrico De Vita, relativo a quel libro http://www.automoto.it/eco/polveri-sottili-tutto-quello-che-non-vi-dicono.html. Articolo nel quale si potevano vedere questi due diagrammi a torta sulle fonti generali e locali degli inquinanti:






e si poteva leggere: "Due cose sono chiarissime: primo, il 9% del 26%, attribuito ai gas di scarico delle auto nel traffico locale, equivale al 2,5% del totale; come dire che quando in certe aree si proibisce la circolazione di tutte le auto (a benzina, a gasolio, Euro 0 o Euro 5), si riducono le polveri emesse della stessa percentuale; secondo, quando si introducono norme più severe per gli scarichi delle nuove vetture, si interviene su una frazione infinitesimale di quel 2,5%, ma non si modifica in alcun modo quella ben più grande prodotta e sollevata dai pneumatici (che nel traffico locale vale 3 volte di più)".


Il fatto che i picchi di inquinamento urbano si verifichino sempre e solo d’inverno avrebbe dovuto suggerire fin da principio, ai decisori dei rimedi da adottare, di tenere particolarmente d’occhio i riscaldamenti, che d’estate non ci sono mentre di auto ne circolano forse anche di più.


Ci ha pensato l’ing. Dario Faccini con tre lunghi articoli, scritti in base a dati ufficiali, pubblicati nel 2015-2016 sul sito web di ASPO Italia, associazione di sicura fede ambientalista, e che l’autore raccomandava di leggere “bevendo molta, molta camomilla” (https://aspoitalia.wordpress.com/2015/12/30/inquinamento-il-colpevole-nascosto/ ).


Vi risulta infatti, in breve, che le diminuzioni di potere inquinante dei veicoli termici, ottenute dal 1992 in poi anche grazie alle Direttive UE, sono state largamente vanificate ………dai riscaldamenti a biomasse (legna e pellets); i quali, a partire dal 2003, sono dilagati a valanga in sostituzione di quelli ad altri combustibili, ma si sono rivelati 100 volte più inquinanti di Gasolio e GPL e 2000 volte più del metano.


Il lato comico della cosa - se si potesse riderne – è che lo Stato italiano ha incentivato, anche con soldi pubblici, la rottamazione sostitutiva delle auto considerate “sporche” ed ha incentivato anche i riscaldamenti a biomasse perchè tale fonte è rinnovabile (ma non per questo “pulita” ).


Quegli articoli hanno avuto oltre 50.000 accessi da internauti, ma dalla “grande informazione” e da quella specializzata hanno avuto lo stesso rilievo dato, quattro anni prima, al libro di Hans Peter Lenz (non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere). Nella migliore delle ipotesi, il motivo potrebbe stare nel timore di perdere la forsennata quanto succulenta pubblicità alle auto, arrivata ormai a superare per intensità e frequenza quella ai più comuni prodotti di uso quotidiano.


Quanto poi al motivo di tale campagna pubblicitaria, scatenata anche dalle Case più illustri , lo credo connesso ai piazzali dei concessionari, strapieni di auto malgrado tutto invendute, che si possono vedere nei dintorni delle città (programmi produttivi troppo presuntuosi ?).


Leonardo Libero


31 gennaio 2017


(*) La direttiva è uno degli strumenti giuridici che le istituzioni europee possono utilizzare per attuare le politiche dell’Unione europea (UE). Si tratta di uno strumento flessibile usato principalmente per armonizzare le leggi nazionali. Essa richiede ai paesi dell’UE di raggiungere determinati risultati, ma li lascia liberi di scegliere le modalità . (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV:l14527 )





lunedì 30 gennaio 2017

La fallacia di Tiffany: la torta dei minerali si sta rimpicciolendo e gran parte di quello che ne rimane non ce lo possiamo permettere

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Audrey Hepburn nel film del 1961 “Colazione da Tiffany”. Dal titolo del film, prendo il concetto di “Fallacia di Tiffany”: non è sufficiente vedere i gioielli dall'altra parte della vetrina per averli. Devi pagarli. La stessa cosa vale per le risorse minerarie. Potrebbero esserci un sacco di di riserve petrolifere sulla carta, ma se le vuoi devi pagare per la loro estrazione. Quello che segue è un estratto leggermente modificato dal libro “L'effetto Seneca”.


Nei dibattiti che hanno a che fare con l'energia ed i combustibili fossili, è piuttosto comune leggere o sentire affermazioni come “il petrolio durerà 50 anni all'attuale tasso di produzione”. Si può sentire anche che “abbiamo ancora mille anni di carbone” (Donald Trump ha affermato esattamente questo durante la campagna presidenziale statunitense del 2016). Quando queste affermazioni vengono fatte ad una conferenza, a volte si può percepire il sospiro di sollievo del pubblico; più vengono pronunciate, più l'oratore sembra essere sicuro di sé. Questa reazione è comprensibile se la valutazione di una lunga durata dei combustibili fossili corrispondesse a quello che ci possiamo aspettare per il futuro. Ma possiamo davvero aspettarcelo?

giovedì 26 gennaio 2017

Sberle e clima, è cambiato qualcosa?


Classe III A  della scuola elementare di Valpisello.  Durante il dettato un bambino si agita, interrompe e tira una pallina di carta ad un compagno.  La maestra lo rimprovera, ma lui non smette.

Allora la maestra gli allunga uno scapaccione, poi lo afferra per un orecchio, lo trascina dietro la lavagna e ce lo lascia in castigo fino alla fine dell’esercizio.

Qualcosa di strano?   Ambientato nel 1965, questo sarebbe un quadretto di quotidiana vita scolastica.   Se invece lo ambientiamo nel 2015 è uno scandalo che finisce in tribunale e sulle prime pagine della stampa nazionale.  

In altre parole, lo stesso identico evento, situato in un periodo storico è del tutto ordinario, mentre in un altro è un “evento estremo”.    Ma se non è cambiato l’evento, cosa è cambiato?  Facile: il contesto del medesimo.

Un esempio a caso per far capire che nessun evento può essere ragionevolmente valutato se avulso dal suo contesto.   Nella vita quotidiana di una scuola elementare, così come nel clima del Pianeta.

Eventi ordinari ed eventi estremi.

Dunque cosa fa la differenza fra eventi ordinari ed eventi estremi?   Per cominciare la frequenza.   Quando nevicava abbondantemente tutti gli inverni la cosa non faceva notizia, mentre la fa ora che nevica saltuariamente anche in montagna.    Un po’ come le punizioni a scuola che un tempo erano quotidiane ed ora del tutto occasionali.

Un secondo elemento è rappresentato dalla preparazione delle persone all’evento.   Quando succede qualcosa che ci si aspetta, bene o male si è pronti ad affrontarlo.   Viceversa, quando accade qualcosa di inatteso strutture, attrezzi, abitudini non sono idonei alla bisogna.   Ancora peggio, la grande maggioranza della gente non sa che fare, pasticcia e crea difficoltà che potrebbero facilmente essere evitate.

Analogamente, uno della mia generazione sapeva che se dava fastidio in classe poteva prendere uno scapaccione.   Se succedeva sapeva cosa fare: bagnarsi la gota e l’orecchio con l’acqua fredda e, soprattutto, non raccontarlo a casa perché rischiava di prenderne altri tre o quattro sul conto.

Un terzo fattore è l’impatto psicologico.   Tempo fa i bambini sapevano che i grandi avevano il diritto di punirli ed anche dargli una sberla se si comportavano male.  Così, quando succedeva, era molto spiacevole, ma non traumatizzante.

Viceversa, un bambino attuale vive nella certezza della sua assoluta inviolabilità cosicché, se la maestra lo mena, rimane sconvolto ancor più che dolorante.   Ma la differenza c’è anche dalla parte della maestra.   40 anni fa sberle e rigate sulle mani facevano parte del mestiere e come tali venivano gestite.  Oggi, una maestra che arriva a dare uno scapaccione ad un bimbo deve già essere in uno stato di stress estremo.   Dunque, mentre nel primo caso il fatto costituiva uno sgradevole incidente, nel secondo è indice di una situazione grave e provoca conseguenze esorbitanti.

Analogamente, un tempo le persone sapevano che l’inverno e la neve sono pericolosi e cercavano di proteggersi sapendo che, comunque, la possibilità di essere danneggiati, di ammalarsi od anche di morire erano alte.   Quando accadeva era una cosa dolorosa, ma non sconvolgente perché rientrava comunque entro i parametri del modello mentale utilizzato per rapportarsi alla realtà.

Al contrario, non solo i bambini, ma anche gli adulti attuali vivono spesso nell’illusione che la tecnologia ed il progresso ci mettano totalmente al riparo dai pericoli connessi con forze naturali quali la neve, le tempeste ed i terremoti.   Così, quando questi ci colpiscono, il trauma psicologico è spesso paralizzante.


Eventi estremi e GW.

 In questi giorni, come sempre al seguito di eventi meteorologici inconsueti, la stampa ed il web impazzano.   Da un lato c’è chi sostiene che questo evento dimostra che siamo sull’orlo dell’apocalisse climatica, anzi un passo oltre.   Dall’altro c’è chi, invece,  argomenta che non dimostra niente, anzi è normale.   Se si tratta di gente del mestiere, entrambi sostengono la loro posizione adducendo argomenti validi, dati reali e ragionamenti logici.   Peccato che mentano entrambi.

Per cominciare, vale la pena ripeterlo: la climatologia e la meteorologia sono scienze affini, ma diverse perché diversi sono i loro campi di indagine e, dunque, i loro metodi.   E nessun evento meteorologico, per estremo che sia, dimostra un bel niente in materia di clima.   Neppure la frequenza con cui si manifestano eventi di quel genere, ad esempio la frequenza delle tempeste, da sola può dimostrare niente, né pro, né contro la realtà del GW.

La climatologia è una cosa complessa ed anche i professionisti devono costantemente confrontarsi con i colleghi, specialmente quelli che non sono d’accordo con loro.   In un sistema della vastità e della complessità dell’atmosfera terrestre è scontato che si manifestino contemporaneamente tendenze diverse.  
Ad esempio, l’innevamento in Appennino e, in misura minore, sulle Alpi è diminuito, mentre altrove nel mondo è aumentato.  
E’ normale anche che su molti aspetti non vi sia completo accordo fra gli scienziati.   Ad esempio, sul bilancio energetico globale pesa di più il degrado dei suoli o la combustione di carbone?

Solo considerando l’insieme di tutti i fenomeni registrabili su periodi di parecchi decenni o secoli si possono individuare delle tendenze ed avanzare delle ipotesi realistiche.   Un lavoro che nessuno è in grado di fare da solo, ecco perché l’IPCC valuta annualmente migliaia di lavori scritti da migliaia di ricercatori e specialisti diversi.   E il risultato, piaccia o non piaccia, è che il clima sta cambiando ad una velocità mai vista perlomeno da 60 milioni di anni a questa parte.   Un fatto che principalissimamente (anche se non esclusivamente) dipende da noi, non solo per la famigerata CO2, ma anche per un sacco di altre cose che vanno dal disboscamento al degrado dei suoli, fino allo sterminio della biodiversità.

Questo è il verdetto di tutti i principali climatologi del mondo e dell’IPCC.

Possiamo fidarci, specialmente perché finora ogni volta che questo illustre consesso si è sbagliato lo ha fatto per eccesso di prudenza e di ottimismo.

Torniamo a scuola.

Cosa tutto ciò ha a  che fare con la nostra manesca maestra ed il nostro discolo?    Questo:  100 anni fa 2 metri di neve e temperature largamente sottozero o centrale erano quasi normali in Appennino, mentre oggi sono un “evento estremo”.   Se non sono cambiati i fatti, deve essere cambiato il contesto

E'  vero che c’è una sproporzione lampante fra il peso mediatico degli eventi meteo estremi e la reale incidenza dei medesimi.  Ma, a mio avviso, proprio il fatto che situazioni normali in un’ottica di lungo periodo risultino sconvolgenti nel presente è un fatto che ci dovrebbe far riflettere.   Certo, influiscono anche altri fattori.  Ad esempio l’aver costruito tutto dappertutto e la nostra infantile pretesa che si possa vivere senza pericolo.



Tuttavia, quando il semplice, fugace ritorno a condizioni climatiche un tempo normali costituisce un fatto eccezionale, abbiamo la misura di quanto grave e rapido il cambiamento sia.




mercoledì 25 gennaio 2017

Resort Rigopiano

Quello che è successo in Abruzzo in queste settimane mi convince che ormai
 "la dittatura dei fatti"
è più che conclamata ed instaurata.

Anzi, è proprio dittatura per antonomasia.
 

La sciagura di Rigopiano ne è poi un caso emblematico ed ancor più paradigmatico.
 

Poteva succedere perchè in quel luogo cadono le valanghe e poteva succedere in quel modo perchè l'Appennino centrale è altamente sismico, ed è successo perchè non è affatto impossibile che una nevicata eccezionale non avvenga in concomitanza con un terremoto sufficientemente forte.
E ancora, voler credere che le cose improbabili ma possibili siano false ha fatto il resto, e cioè di rendere la sciagura certa.

Ed in questo caso nulla ha potuto una raffinata tecnologia, quella della comunicazione mobile digitale, contro la irriducibile bizzarra complessità della natura umana.
 

Chi non ha creduto al primo messaggio con la richiesta di soccorso è un imbecille, un criminale o semplicemente un essere umano che ha temuto di essere vittima di uno dei tanti scherzi che molti imbecilli fanno ogni giorno e dovunque, approfittando della peculiarità del mezzo di comunicazione ?
 

In più alto grado e con conseguenze enormemente più vaste, l'elezione dell'attuale presidente d'oltreoceano mi pare congruente con tale dittatura, perchè chi vuole illudersi che determinati fatti non esistano o anche se esistessero non sarebbero importanti, vuole essere rassicurato da qualcuno che sostenga la sua illusione.In questo modo illusi ed illusore anzi, illusionista, si uniscono in matrimono finchè sventura non li colga.

E come molte cose che in Natura hanno un svolgimento inizialmente esponenziale, per l'essere umano, finchè non si giunge ad un certo limite, è difficile se non quasi impossibile, accorgersi che oltre quel limite le cose cambieranno in modo violento.
Oltretutto anche l'esponente stesso  può variare a sua volta e ciò rende la consapevolezza del fenomeno ancora più difficile da ottenere.

E siccome la consapevolezza è una condizione necessaria ma non sempre sufficiente per l'azione, 
dev'essere per questo motivo che la Terra è sterilmente disseminata di molto senno di poi.
 

E per complicare ulteriormente le cose, che così diventano davvero interessanti, si fa per dire, più le cose sono interconnesse, più le sorprese aumentano in un modo che ormai sappiamo essere la vera sostanza di cui è fatta la trascendente complessità dell'Universo.
Solo che la sorpresa è un concetto tipicamente umano, che le distingue in belle e brutte, mentre fuori dall'umano, il bello ed il brutto è semplicemente quello che succede.
 

Il Re, più che nudo, pare essere intronato sul cesso a leggere le cronache degli schiamazzi di corte.
 

Mentre sotto la crosta del suo regno il magma spinge come ha fatto per migliaia di secoli.
Aquietandosi solo a scossa ripetuta ed avvenuta.
E sopra, le nubi attendono solo d'incontrare le regali montagne per rilasciare il loro traboccante candido manto.
Nonostante tutto ciò, ci aspettano ancora innumerevoli sebbene differenti primavere.

Marco Sclarandis. 

sabato 21 gennaio 2017

Co 'sto freddo e co 'sto vento, dove sta il riscaldamento (globale)?


La ghiacciaia di Monte Senario, vicino a Firenze. Un secolo fa, veniva giù abbastanza neve da queste parti che la si poteva riempire tutta di ghiaccio. Oggi, si lamentano tutti per qualche spolveratina di neve, ma il freddo di una volta era un'altro freddo!

Da "Il Fatto Quotidiano" del 18 Gennaio 2017 - di Ugo Bardi


Negli ultimi giorni è stato tutto un gridare “mamma mia, che freddo!”. Con qualche ragione, dato che questo inverno è sembrato essere nettamente più rigido di quelli degli ultimi anni. Curiosamente, però, i soliti noti che straparlano di “nuova era glaciale” incombente sono rimasti silenziosi, perlomeno sui giornali. Chissà che non siano rinsaviti? Ma, a parte questo, cosa possiamo dire di questa ondata di freddo? E’ una fluttuazione momentanea o qualcosa che ha a che vedere con il cambiamento climatico in generale?

Per prima cosa, bisogna mettere le cose in prospettiva. Il riscaldamento globale non si è fermato e continua imperterrito, con il 2016 che ha battuto il nuovo record di anno più caldo da quando si fanno le misure. Quindi, tutto è relativo. Tanto per fare un esempio, dalle mie parti, in Toscana, c’è ancora sulle colline vicino a casa mia l’edificio della “ghiacciaia” che era usato fino a un secolo fa, circa, per raccogliere neve in inverno e poi rivenderla come ghiaccio in estate. Evidentemente, a quei tempi, in inverno da queste parti nevicava consistentemente per almeno alcuni mesi. Oggi, invece, quello che chiamiamo “inverno rigido” è consistito in qualche spolveratina di neve su quelle stesse colline; subito sparita. Per i nostri antenati, questo inverno sarebbe apparso come una piccola primavera.

Allora, cosa sta succedendo? Beh, mentre la temperatura globale cambia lentamente in media su tutta la superficie terrestre, i cambiamenti locali sono più complessi e difficili da capire e prevedere. Sul clima europeo di quest’anno, ci sono un paio di articoli che potete leggere se masticate bene l’inglese: “L’ondata di freddo dell’Europa dell’Est”, e “Inverni estremamente freddi generati dalla corrente a getto e dal cambiamento climatico”. Secondo alcuni studi, il riscaldamento delle zone polari a Nord sta influenzando la “corrente a getto”, una grande fiume d’aria che si forma nell’atmosfera terrestre alla quota di circa 11 km dalla superficie.





Il riscaldamento della zona polare ha rafforzato le ondulazioni della corrente a getto e ha generato variazioni di temperatura più nette del solito. In pratica, i Balcani e l’Europa centrale (Austria, Ungheria, Polonia, ecc.) si sono trovate a vedersi arrivare addosso aria fredda polare. Questo è successo, in misura minore, anche sull’Italia, in particolare sul versante adriatico. Al contrario, l’Europa dell’Ovest, Spagna Francia, Inghilterra e anche Scandinavia, si trovano in una regione per il momento risparmiata dalle correnti fredde dal nord, e si sono trovate relativamente al caldo.

Quindi, l’evoluzione del clima non è una cosa semplice: sovrapposto al riscaldamento graduale, vedremo sempre di più variazioni locali inaspettate e a volte distruttive. Se poi la corrente del golfo dovesse rallentare in modo veramente sostanziale – come sembra che stia facendo – allora ci potremmo trovare davanti a variazioni del clima veramente drastiche. Non dico come nel film L’alba del giorno dopo che vede tutto l’emisfero nord ghiacciato, questa è pura fantascienza. Però potrebbe generare cambiamenti ancora più importanti di quelli che stiamo vedendo oggi.

Molta gente dice che un piccolo riscaldamento globale potrebbe non essere una cosa tanto cattiva: in fondo staremo più al calduccio e risparmieremo sul riscaldamento domestico. In realtà il riscaldamento globale ci sta portando a un clima instabile e a rapidi cambiamenti per quali spesso non siamo preparati. D’altra parte, il riscaldamento lo stiamo causando noi con le emissioni di gas serra e non ci possiamo lamentare se ne subiamo le conseguenze.



lunedì 16 gennaio 2017

Arpaia e il fantaclima: il coraggio di dire certe cose




Un romanzo duro e difficile questo di Bruno Arpaia che si svolge in un futuro devastato dal cambiamento climatico. Ma un romanzo che cerca di trasmettere delle idee e di percorrere nuove strade.



C'è stata un epoca, fino a qualche decennio fa, in cui i romanzi avevano un peso su quello che la gente pensava e faceva. Vi ricordate della grande stagione dei romanzi di Fantascienza? Pensate all'importanza dei romanzi russi nel periodo Sovietico: Dudintsev, Grossman, Solzhenitsyn con il suo "Arcipelago Gulag" del 1973. Anche in Italia, abbiamo avuto scrittori influenti sulla cultura, Calvino, Pavese, Buzzati, e tanti altri. E se volete un romanzo che ha avuto un profondo significato politico e culturale a livello mondiale, potete prendere la trilogia dell'anello, di Tolkien, pubblicata negli anni 1950.

Poi, con gli anni, tutto si è acquietato. A partire dagli anni 1980, più o meno, in tutto il mondo la letteratura è diventata una cosa irrilevante, banale, vuota. Potete citare qualche grande romanzo pubblicato negli ultimi due-tre decenni? Molto difficile; perlomeno per me è impossibile. Oggi diciamo che è colpa di Internet, ma la cosa è cominciata molto prima. E' successo un po' quello che è successo alla letteratura Latina: dopo la grande stagione dei vari Virgilio, Orazio, Tacito, Terenzio, eccetera, non c'è stato più un autore degno di essere ricordato. E a quel tempo l'Internet non c'era. 

Io credo che la sparizione della letteratura non sia tanto colpa di Internet, quanto del fatto che gli scrittori che non hanno più niente da dire. E non hanno più niente da dire perché la società non ha più niente da sentirsi dire. Non abbiamo più sogni, soltanto incubi. Non abbiamo più desideri, soltanto la sopravvivenza. Non abbiamo più un futuro, soltanto il presente. E la letteratura è sempre a proposito dei sogni, degli obbiettivi, e del futuro. 

Ma il futuro arriva comunque, anche se uno cerca di ignorarlo. Il futuro di questo pianeta devastato ci sta arrivando addosso a una velocità spaventosa. E qualcuno comincia ad accorgersene. Lo spazio del futuro è sempre uno spazio narrativo. Al momento in cui il futuro diventa visibile, diventa una storia. La nostra società, oggi, è così povera di storie perché non vede il futuro, ne ha soltanto paura. 

Qualcuno, tuttavia, si sta accorgendo di questo futuro che ci si para davanti, così minaccioso e terribile. Il risultato è una nuova narrativa del futuro, quello che in inglese si chiama "Climate Fiction," che potremmo tradurre come "Fantaclima", equivalente della "Fantascienza." 

E' un genere ancora embrionale, ma che cerca di fornire un'immagine narrativa del futuro. E' un idea che va oltre la povera, stentata, farraginosa narrazione che gli scienziati hanno cercato di fornire e che nessuno ha veramente capito. Il futuro è una questione di narrativa, e sulla narrativa di oggi ci stiamo giocando il futuro di domani. Un gioco che somiglia a una roulette russa dove ci giochiamo la sopravvivenza della specie umana. 

In Italia, Bruno Arpaia prova a costruire una narrativa del futuro basata sui risultati della scienza del Clima, con "Qualcosa là Fuori" (*), un primo ingresso della letteratura italiana nel genere Climate Fiction. Ne viene fuori un romanzo durissimo e spietato. Una storia del futuro basata su un destino di stile siriano della penisola italiana i cui cittadini si ritrovano in un paese devastato dalla siccità, trasformati in nuovi profughi alla ricerca della sopravvivenza nelle regioni del Nord Europa. Pur non essendo uno scienziato, Arpaia conosce bene i risultati della scienza del clima e li interpreta in modo sostanzialmente corretto. Lo scenario che dipinge può essere pessimista, ma è ampiamente entro i limiti di quello che i modelli climatici ci presentano come possibile. 

"Qualcosa là Fuori" è un romanzo che non concede quasi niente alla speranza, ma che non chiude completamente la porta alla sopravvivenza non solo degli esseri umani come specie, ma anche della cultura, della scienza, e dell'amore reciproco. Non so che successo potrà avere un romanzo così duro in un mondo dove tutti sono ormai anestetizzati di fronte alla TV o sui social del Web. Ma per chi si cimenta nella lettura, il romanzo di Arpaia fa il mestiere che deve fare: ti mette di fronte a un futuro diverso, ti costringe a pensare. 




(*) Per una personale critica di tipo letterario di questo romanzo, le sue cose buone sono il ritmo serrato, le scene epiche dell'esodo della colonna dei profughi, l'interazione fra i protagonisti in fuga. Si sente che il romanzo è scritto da un professionista che ha bene in mano l'arte di costruire il racconto. Peraltro, io ci ho trovato anche dei difetti. In particolare, l'uso della tecnica del "flahsback" che, a mio parere, Arpaia usa in modo eccessivo, spezzettando il flusso narrativo e venendo fuori anche occasionalmente in scene un po' gratuite. Ma un romanzo è come una persona (vi ricordate le "persone-libro" di Ray Bradbury in "Fahreneit 451"?). E nessuna persona è perfetta ed è così che deve essere.