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lunedì 4 luglio 2016

L’economia della navicella spaziale “Terra”



Riassunto e chiose di Jacopo Simonetta.


"Chiunque creda che la crescita esponenziale può durare per sempre all'interno
di un mondo delimitato è un pazzo, oppure un economista."














Ho sempre trovato interessante andare ogni tanto a rileggere ciò che hanno detto persone particolarmente intelligenti in un passato più o meno remoto. Qui vorrei proporre il riassunto di un importante articolo di Boulding, frutto di un accorto “taglia e cuci” del testo originale, lungo circa il doppio. Prego notare che è del 1966, dunque parecchi anni prima che fosse pubblicato “I limiti dello Sviluppo”.  Mi sono permesso di inserire qualche chiosa personale basata sul quello che è successo nei circa 50 anni seguenti la prima pubblicazione di questo storico articolo.


Boulding era un economista e, soprattutto,  uno studioso di dinamica dei sistemi (come i Meadows), ma era anche un filosofo ed un mistico.  Una rara combinazione che rende il suo pensiero particolarmente stimolante.

Oggi ci troviamo nel mezzo di un lungo processo di transizione circa l’immagine che l’uomo ha di se stesso e dell’ambiente che lo circonda. Gli uomini primitivi, e in gran parte anche gli uomini delle civiltà antiche, immaginavano di vivere in uno spazio virtualmente illimitato. C’era sempre qualche altro posto dove andare quando le cose si complicavano per il deterioramento dell’ambiente o delle strutture sociali.  L’immagine della frontiera è probabilmente una delle più antiche del genere umano e non ci deve quindi sorprendere se facciamo fatica ad abbandonarla.

(Anche nell'antichità spesso emigrare voleva dire farsi largo con le armi.   Una dinamica che accomuna moltissime specie, ma che nella nostra è particolarmente importante )

Tutti gli organismi viventi, compreso l’uomo, sono dei sistemi aperti.   Devono cioè prelevare dall'esterno input in forma d’aria, cibo, acqua e restituire output in forma di urina ed escrementi. La mancanza d’input, come l’aria, è fatale; ugualmente la mancanza di capacità di espellere gli output è fatale in un tempo relativamente breve. Tutte le società umane sono dei sistemi aperti.   Esse ricevono input dalla terra, atmosfera e acqua e restituiscono output in questi stessi ambienti. I sistemi possono essere aperti o chiusi in rapporto alle classi di risorse che operano da input ed output.

Ci sono tre classi principali di risorse: materia, energia ed informazione.   Strettamente connesse fra loro dal fatto che possono essere in parte trasformate le une nelle altre, ma soprattutto perché il flusso di tutte e tre provoca un aumento di entropia che danneggia il sistema, a meno che non venga scaricato all'esterno del medesimo.   Parlando di società umane, questo di solito avviene a danno della Biosfera, ma anche a scapito di altri popoli e paesi, oppure classi sociali subalterne e pesino di future generazioni.

L’attuale economia mondiale è aperta rispetto a tutti tre.   Possiamo pensare l’economia mondiale, o “econosfera”, come sottocategoria della categoria “mondo”, la quale ingloba tutto.  Quindi pensiamo l’econosfera come lo stock di capitale totale.   Cioè lo stock di tutti gli oggetti, persone, organizzazioni, ecc. rilevanti dal punto di vista del sistema di scambio.   Questo stock di capitale totale è chiaramente un sistema aperto, con input ed output: la produzione, come input, aggiunge valore allo stock di capitale e il consumo, come output, ne sottrae valore.

Dal punto di vista materiale, nel processo di produzione osserviamo oggetti che passano dal campo non-economico verso quello economico.   Allo stesso modo, osserviamo prodotti che escono dal campo economico man mano che il loro valore tende a zero.Così osserviamo l’econosfera come un flusso di materia che inizia con la scoperta e l’estrazione delle materie prime e finisce quando gli effluenti del sistema confluiscono come inquinamento nelle riserve non economiche quali, ad esempio l’atmosfera e gli oceani.

Dal punto di vista del sistema energetico, l'econosfera comprende input di energia, disponibili sotto forma di potenza idraulica, combustibili fossili e luce solare, che sono necessari alla creazione della totalità dei materiali e per generare il passaggio della materia dal piano non economico a quello economico o, nuovamente, al di fuori di esso.   Inoltre, l'energia stessa è condivisa dal sistema in forma, meno fruibile, di calore. Nelle società avanzate lo sfruttamento della fotosintesi è potenziato in modo esponenziale dall'uso dei combustibili fossili, che rappresentano in pratica uno stock di energia solare immagazzinata.  Grazie a questa riserva di energia, negli ultimi due secoli, si è potuto disporre di un input di energia molto più consistente di quanto si sarebbe potuto ottenere sfruttando soltanto l'energia solare.   Ma questo contributo supplementare è per sua stessa natura esauribile.

Gli input ed output di informazione sono più subdoli da individuare, ma rappresentano in ogni caso un sistema aperto che si relaziona con la trasformazione di materia ed energia. La maggior parte del sapere e della conoscenza è in-generata dalla società umana.

(Qui Boulding sembra dimenticare l’immensa quantità di informazione contenuta nel genoma e nei tessuti degli organismi viventi. Uno stock di informazione che è attualmente in caduta libera a causa dell’estinzione di massa in corso. All'epoca in cui scriveva Boulding la “mass extinction” era già cominciata, ma procedeva assai più lentamente di ora e non se ne parlava ancora.)

E' la conoscenza generatasi all'interno del pianeta, ad ogni modo, e in particolare quella generata dall'uomo stesso, che costituisce la maggior parte del sistema del sapere.  Possiamo pensare al sapere, o come lo indica Teilhard de Chardin, la "noosphere", e considerarlo un sistema aperto, che cede nozioni con l'invecchiamento e la morte e ne acquisisce con la nascita, l'educazione e l'esperienza ordinaria di vita.

Dal punto di vista umano, il sapere (o conoscenza) è di gran lunga il più importante dei tre sistemi. La materia acquisisce significato ed entra nella sociosfera o nell'econosfera in proporzione al suo divenire oggetto dell'umana conoscenza.   Possiamo così pensare al capitale come a una forma di conoscenza imposta al mondo materiale sottoforma di imperfetta organizzazione, mediante la dissipazione di energia.   L'accumulo di conoscenza, che consiste nell'eccesso di produzione rispetto al suo consumo, è la chiave di ogni tipo di sviluppo del genere umano, in particolare di quello economico.
Per "conoscenza" intendo, ovviamente, la totalità della struttura cognitiva, che include valutazioni e motivazioni, così come le immagini del mondo reale.

Il concetto di entropia, usato in un senso alquanto ampio, può essere applicato a tutti e tre questi sistemi aperti. Nel caso della materia, possiamo fare la distinzione tra i processi entropici, che prendono materia concentrata e la disperdono.   E processi anti-entropici, che prendono materia disgregata e la concentrano, dissipando però energia durante il processo.

Per quanto riguarda l’energia, non si può che fare riferimento alla seconda legge della termodinamica.  Se non ci fossero input di energia, sulla terra sarebbe impossibile qualunque processo di sviluppo.   Il principale input di energia, ottenuto con il combustibile fossile, è temporaneo. La questione del tempo è una questione complessa ma intrigante, che corrisponde in qualche maniera all'entropia nel sistema dell’informazione.

 (fu poi Prigogine a dimostrare la stretta correlazione fra l’entropia e la freccia del tempo).


Ci sono sicuramente molti esempi di sistemi sociali e culture di cui abbiamo perso conoscenza nel passaggio da una generazione ad un'altra, con effetti degenerativi.  Un esempio è la migrazione della cultura popolare dei contadini appalachiani verso le città americane.   Vi si vede una cultura che ha avuto origine da una cultura popolare europea del periodo elisabettiano relativamente ricca perdere nel giro di dieci generazioni le sue abilità, adattabilità, i racconti e le canzoni e quasi ogni elemento di ricchezza e complessità.

D’altro canto, nella maggior parte della storia dell’umanità, la crescita del sapere nella sua interezza sembra essere stato un processo continuo, anche se ci sono stati periodi di crescita lenta e altri più rapidi. Ci sono particolari condizioni che generano la crescita generale del sapere.   Si tratta di fattori molto sofisticati e complessi per i quali è difficile individuare elementi specifici che accrescono o provocano il declino del sapere. Un esempio di questo è ad esempio, l’avvento delle scienze nella società europea del XVI° secolo, piuttosto che in Cina, che all’epoca era senz’altro più progredita. Questa è una questione cruciale nella teoria dello sviluppo sociale che, bisogna ammettere, è assai poco compresa.

Forse il fattore più significativo è l’esistenza di sfasature nella cultura che permettono una divergenza da modelli consolidati e facilitano azioni destinate a cambiare la società. La Cina infatti era troppo ben organizzata e aveva sfasature troppo piccole per produrre l’accelerazione che troviamo nella società europea: più povera, meno organizzata, ma più diversificata,.

(Un’altra differenza importante fu che in Europa già esistevano lingue scritte relativamente semplici e fu sviluppata la stampa a caratteri mobili.   Il Cinese dell’epoca aveva l’immenso vantaggio che, scritto, era quasi una lingua universale in quanto le lingue di tutti i popoli assoggettati e confinanti potevano essere scritte in caratteri cinesi e lette in qualsiasi altro idioma. Ma questo era stato realizzato a costo di un sistema estremamente complesso di ideogrammi che poteva essere compreso solo da specialisti. Questo e la mancanza di metodi di stampa a buon mercato resero il flusso di informazione molto più modesto di quel che contemporaneamente avveniva in Europa.)

La terra chiusa del futuro richiede principi economici diversi da quelli della terra aperta del passato. Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta.   Il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e rapace che è caratteristico delle società aperte.

L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all'economia dell’astronauta. La Terra va considerata una navicella spaziale in cui la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite; sia per quanto riguarda la possibilità di uso, sia per la capacità di accogliere i rifiuti. In questa navicella, bisogna perciò comportarsi come in un sistema ecologico chiuso, capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia.
Le differenze tra i due tipi di economia diventano più evidenti nell'atteggiamento verso il consumo. Nell'economia del cowboy, il consumo è considerato cosa positiva e la produzione altrettanto. Il successo dell’economia è misurato sulla produttività dei fattori di produzione parte dei quali, ad un certo prezzo, sono estratti dalle riserve di materie prime e di beni non di mercato.   Mentre un’ altra parte è output che va a costituire le riserve di inquinanti. Se vi fossero riserve infinite da cui estrarre le materie prime e in cui depositare gli effluenti, allora la produttività sarebbe una misura attendibile del successo dell’ economia.

Il prodotto interno lordo è una rozza misura della produttività.  Dovrebbe essere possibile distinguere la parte del PIL originata da risorse irriproducibili rispetto a quella originata da risorse riproducibili, così come la quota di scarti nel consumo rispetto alla quota di beni di riciclo.  Nessuno, a quanto so, ha mai tentato di suddividere il PIL in questo modo, malgrado l’interesse e l’importanza di questo esercizio. Di contro, nell'economia dell’astronauta, la produttività è considerata come qualcosa da minimizzare, piuttosto che massimizzare. La misura essenziale del successo dell’economia non sono la produzione ed il consumo, ma la natura, l’estensione, la qualità e la complessità dello stock totale di capitale.   Comprese le risorse umane nella loro dimensione fisica e mentale. Nell'economia dell’astronauta siamo fondamentalmente interessati alla conservazione degli stock e ogni cambiamento tecnologico che dia come risultato il mantenimento di un dato livello totale degli stock con una diminuzione del prodotto (cioè meno produzione e meno consumo) è un vantaggio. L’ idea che sia la produzione che il consumo siano un male più che un bene è molto strana per gli economisti che sono ossessionati dal concetto di flusso di reddito, spesso fino all'esclusione del concetto di stock di capitale.

(Interessante come molte economie del passato erano organizzate in questo modo, avendo come scopo principale la stabilità e non la crescita.)

La questione coinvolge molti problemi delicati ed irrisolti.  Ad esempio se il benessere umano debba essere considerato uno stock o un flusso.  Esso in realtà sembra comprendere qualcosa di entrambi ma, per quanto ne so, non ci sono praticamente stati studi diretti ad identificare queste due dimensioni della soddisfazione umana. Ad esempio, è più corretto parlare di mangiare o di sentirsi sazi? Il benessere economico è misurato dall'avere bei vestiti, belle case, buone attrezzature e così via, o dal continuo ricambio di questi beni?
Tendo a considerare il concetto di stock come fondamentale, il che significa considerare più importante essere ben nutrititi che mangiare; oltre che considerare essenziali quei servizi che portano al ripristino del capitale psichico.
Procedendo con il ragionamento, noi mangiamo innanzitutto per ripristinare l’omeostasi del nostro corpo, ovvero per mantenere una condizione di sazietà.   In questa visione non c’è assolutamente nulla di desiderabile nel consumo.   Se avessimo vestiti che non si logorano, case che non si deteriorano e se potessimo persino mantenere la nostra condizione fisica senza mangiare, potremmo stare meglio.

Tuttavia, rispetto a quest’ultima considerazione, occorre fare una riflessione.   Per esempio, desidereremmo veramente un’operazione che ci permetta di nutrire il nostro corpo cibandoci per endovena mentre dormiamo? Certamente desideriamo delle variazioni. Altrimenti non ci sarebbero richieste di varietà di cibo, di scenari, di proposte di viaggi, di contatti sociali, e cosi via. La richiesta di varietà può, certamente, essere costosa, qualche volta anche troppo per essere tollerata o legittimata.  Come nel caso di partner sessuali, dove il mantenimento di uno stato omeostatico nella famiglia è di solito considerato molto più desiderabile della varietà e dell’eccesso di libertinaggio. Questi problemi sono stati trascurati con particolare testardaggine dagli economisti che continuano a pensare ed agire come se le strategie di produzione, di consumo, dei processi di lavorazione e del PIL siano una sufficiente ed adeguata ricetta per il successo economico.

Ci si può chiedere: perché preoccuparsi di tutto ciò, quando l’economia dell’ “uomo dello spazio” è ancora lontana (almeno rispetto al nostro tempo di vita), tanto da permetterci di mangiare, bere, dormire, estrarre risorse ed inquinare, essere più felici possibile e lasciare che le generazioni future si preoccupino dell’astronave terra.   (Mica tanto, sono passati solo cinquant’anni.) E’ sempre un po’ difficile trovare una risposta convincente alle persone che dicono “Cosa hanno fatto i posteri per me?” Coloro che propugnano la conservazione hanno sempre risposto insistendo su principi etici piuttosto generali, che postulano l’identificazione dell’individuo con comunità o società i cui valori si estendono non solo nel passato, ma anche nel futuro.   Se l’individuo non si identifica con questi principi, il concetto di conservazione è “irrazionale”.

L’unica risposta che posso dare è puntualizzare che il benessere di un individuo dipende dalla misura in cui riesce ad identificarsi con gli altri, e l’identità individuale più soddisfacente è quella che riesce ad identificarsi non solo con la comunità nello spazio ma anche con le comunità estese nel tempo, dal passato al futuro.  Se questo genere di identità è apprezzato, i posteri avranno una voce.   E nella misura in cui la loro voce potrà influenzare le nostre decisioni, anch'essi decideranno. L’intero problema è collegato con quello più grande della definizione di un’etica, di una legittimità e delle radici di una società.   C’è un grande accordo sull'evidenza storica che suggerisce che una società che perde la sua identificazione con le generazioni future e che non possiede una positiva immagine del futuro, perde anche la capacità di affrontare i problemi del presente, e presto si avvierà al declino.

(Ricordo che l’articolo è del 1966.   All'epoca sarebbe stato teoricamente possibile stabilizzare popolazione e consumi, perlomeno dal punto di vista tecnico.   Non è detto che fosse possibile dal punto di vista politico, visto che c’era un rischio molto concreto di guerra totale con l’URSS.)

Se ammettiamo che sia importante considerare le esigenze delle generazioni future nell’affrontare i nostri problemi attuali, dovremmo di conseguenza affrontare il problema della discontinuità di tempo e della correlata incertezza.   Ma è ben noto il fenomeno per cui gli individui tendono a non considerare il futuro nel loro agire quotidiano. Se  ci preoccupiamo poco del nostro futuro, è logico che non ci preoccuperemo della nostra discendenza, anche se le attribuiamo un grande valore. Questo spiega forse perché le politiche conservatrici danno sempre priorità ad obiettivi immediati che vengono spacciati per urgenti, lasciando sempre in subordine le politiche che riguardano il futuro.

Da vecchio pensatore sul futuro non posso accettare questa visione.   Per di più, sostengo che il domani non solo è molto vicino, ma per alcuni versi è già qui.   Infatti l’ombra della futura navicella spaziale si allunga già sopra i nostri allegri spendaccioni.  Abbastanza stranamente, sembra che il problema dell’inquinamento abbia il sopravvento su quello delle esaurimento delle risorse.  Los Angeles è a corto di aria e il lago Erie è diventato un pozzo nero.   Gli oceani stanno diventando pieni di piombo e di DDT e l’atmosfera può diventare il problema maggiore delle prossime generazioni, visto che la stiamo riempiendo di rifiuti.

(Geniale anticipazione.   Ad oggi sono poche le risorse che effettivamente scarseggiano, mentre i danni derivanti dalla crescita dell’entropia terrestre sono già devastanti  - clima, perdita di biodiversità, inquinamento, ecc.)

Argomenterei con forza anche sul fatto che la nostra ossessione per la produzione e il consumo non tiene conto degli aspetti dello stato sociale, con l'effetto di distorcere il processo di cambiamento tecnologico verso esiti indesiderabili. Consideriamo ormai abituali i processi di obsolescenza pianificati, la pubblicità competitiva e la bassa qualità dei beni di consumo.   Quello che è chiaro è che nessun serio tentativo è stato fatto per stimare l'impatto sull'intera vita economica del cambiamento della durabilità, esaltando così la sola dimensione del reddito immediato. Sospetto che, nella nostra società spendereccia, abbiamo sottovalutato i guadagni derivanti dall'aumento di durabilità e che questo punto meriti una correzione supportata da ricerche patrocinate dal governo.

I problemi che la nave spaziale Terra dovrà affrontare non  sono tutti nel futuro, e molto può essere fatto per prestar loro attenzione oggi, al contrario di ciò che stiamo facendo. Il nostro successo nel trattare con i maggiori problemi, tuttavia, non è estraneo allo sviluppo di esperienza nel risolverne di immediati e forse meno complessi.   Spero, pertanto, che una successione di "crisi crescenti", in particolare legate all'inquinamento, desti l'opinione pubblica e mobiliti il sostegno alla soluzione di problemi immediati.   Un processo di apprendimento che verrà attivato e potrà portare ad un apprezzamento e forse a soluzioni maggiori.

(Vana speranza)

Un modesto ottimismo, ma forse un ottimismo modesto è meglio del pessimismo.