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venerdì 30 dicembre 2022

Il popolo ha fame? Che faccia una dieta dimagrante!


Il movimento ambientalista, in particolare quello Italiano, è rimasto legato a concetti ormai obsoleti, come quello della "decrescita," vista come una cosa buona, addirittura "felice".  Non si rendono conto che, al momento, "decrescita" significa semplicemente un impoverimento generalizzato che colpisce i più poveri. È una cosa ormai probabilmente inevitabile ma, perlomeno, non dovremmo far finta di essere contenti. 

Negli anni 1970, un giornalista intervistò Aurelio Peccei, il fondatore del "Club di Roma" e lo sponsor del rapporto sui "Limiti dello Sviluppo" del 1972. Gli chiese se era favorevole al concetto di "crescita zero." Peccei rispose, indignato, "nemmeno per idea!" La crescita zero, spiegava Peccei, voleva dire semplicemente lasciare i poveri del pianeta alla loro povertà. Invece, i poveri dovevano avere la possibilità di crescere fino a raggiungere un livello di vita decente. Solo allora si sarebbe potuto parlare di stabilizzare il sistema economico. 

Peccei era un illuminato in molti sensi. Era anche un ingegnere: si rendeva conto che i problemi concreti hanno bisogno di soluzioni concrete. Ovvero, che non è il caso di parlare agli affamati dei benefici delle diete dimagranti. All'epoca, il problema energetico non si poneva ancora con chiarezza, ma Peccei si sarebbe sicuramente reso conto che bisogna dare energia a chi ne ha bisogno. Non possiamo mangiare l'energia, ma senza energia non possiamo mangiare. E non ne abbiamo affatto in abbondanza. 

Nella situazione attuale, stiamo andando verso il disastro, fra i blocchi commerciali, la mancanza di fertilizzanti, il cambiamento climatico, le guerre, e tutto il resto. E i dati della FAO ci dicono che la fame ha ripreso ad aumentare dopo aver raggiunto un minimo, intorno al 2015. Al momento, siamo a circa il 10% di persone affamate nel mondo, vicino a un miliardo di persone. Cosa gli dici a questi? Di decrescere? Non vi sembrano già magri abbastanza?

Purtroppo, il movimento ambientalista si trova completamente spiazzato di fronte agli ultimi sviluppi della crisi economica e ecologica. Una buona frazione degli ambientalisti nostrani (per fortuna non tutti) sono rimasti legati al concetto di "decrescita" come se fosse una cosa buona e virtuosa. Certe volte accoppiandola con l'aggettivo "felice." Non si rendono conto di quanto questa idea sia obsoleta. 

Forse, negli anni del boom economico, poteva aver senso parlare di ridurre gli sprechi ma, oggi, c'è rimasto ben poco da ridurre. Quello che chiamiamo "decrescita" è ormai un termine in "newspeak" di stampo orwelliano ("guerra è pace") che indica la distruzione della classe media in Occidente. Come è tipico del newspeak, indica un certo concetto con il suo esatto contrario. Non solo i cittadini occidentali vengono spogliati dei loro averi dalle élite ("decrescita"), ma ne dovrebbero anche essere contenti ("decrescita felice"). Un vero trionfo della propaganda moderna. 

La caratteristica principale della propaganda è la sua capacità di convincere la gente ad agire in modi che danneggiano loro stessi. Nelle sue forme più ingenue vuol dire, per esempio, fare la doccia fredda per "colpire Putin." Ma in forme molto più distruttive vuol dire, per esempio, spingere gli ambientalisti a opporsi a opere di cui abbiamo disperatamente bisogno. Un esempio è quello dei 30 MW dell'impianto eolico di Villore, nel Mugello. È un progetto che dovrebbe finalmente partire, ma che è rimasto a lungo bloccato dall'opposizione di molti gruppi (pseudo) ambientalisti. 

Pensateci un attimo: nella storia dell'impianto di Villore stiamo vedendo persone che sostengono che dobbiamo arrivare a "emissioni zero" e che allo stesso tempo manifestano in piazza contro gli strumenti che lo renderebbero possibile. Come facciano a non vedere la contraddizione è uno dei tanti misteri dell'universo. Ma è il miracolo della propaganda: non si preoccupa delle sue stesse contraddizioni. Alla fine, la realtà vince sempre, ma può essere una storia lunga e molta gente è destinata a soffrire nel processo. 

Su questa faccenda ho descritto la mia opinione in un articolo sul Fatto Quotidiano. Devo aver colpito un punto sensibile, perché mi sono avuto diversi commenti piuttosto piccati sui social. Come succede sempre, quando qualcuno è a corto di argomenti non trova altra via di uscita che prendersela con la persona. Ed è stato questo che è successo: a parte l'accusa di essere venduto ai poteri forti, qualcuno mi ha addirittura paragonato a Roberto Burioni (!). Era inteso come un insulto, ma è anche vero che Burioni è un genio della comunicazione (genio del male, ovviamente!). Quindi, lo prendo perlomeno come una lode parziale.

Per concludere, accennavo all'inizio dell'opinione di Aurelio Peccei, molto simile alla mia. Anche lui, fra le altre cose, si ebbe insulti e accidenti da parte del famoso "cornucopiano" Julian Simon, che lo accusò di mentire e di essere anche lui venduto ai poteri forti. La storia la racconta Simon nel suo libro "The Ultimate Resource" del 1981. E io la racconto di nuovo nel mio libro "The Limits to Growth Revisited" del 2014.


giovedì 6 ottobre 2022

Mai Baciare un'Aliena! Ovvero: la morte della scienza



Mi ricordo di aver letto un romanzo di fantascienza, parecchi anni fa, del quale mi è rimasto in mente la descrizione dell'incontro di un'astronave aliena e una umana da qualche parte nel mezzo della galassia. Nel romanzo, gli umani e gli alieni respirano atmosfere diverse e possono entrare in contatto solo attraverso una barriera di vetro, ma, lentamente, cominciano a capirsi. A un certo punto, uno degli astronauti terrestri approfondisce talmente il rapporto con un'aliena che il capitano lo deve redarguire, dicendogli: "Stai attento, Non è il caso che tu ti innamori di un'aliena verde che respira cloro e beve acido cloridrico." (Il romanzo era dello scrittore sovietico Ivan Yefremov, se mi ricordo correttamente). 

Non ci capita spesso di innamorarci di femmine aliene con la pelle in teflon, però succede alle volte di essere affascinati dalla diversità, dallo scoprire dei mondi completamente inaspettati. A volte, dei mondi anche sconvolgenti, che non vorresti esistessero. Ma la diversità di arricchisce sempre e comunque. Se qualcosa esiste -- e forse da qualche parte esistono veramente alieni (e aliene) che respirano cloro -- ci deve essere qualche ragione per la quale esistono. 

Un'esperienza del genere l'ho avuta leggendo un post sul blog di un mio amico, Un testo che posso definire soltanto come alieno. Non che non sia comprensibile: è scritto in una lingua terrestre che riesco, più o meno, a decifrare. Ma non ci trovo una sola frase che sia coerente con la mia visione dell'universo. Nulla che corrisponda ai dati che ho, o con la quale potrei essere anche vagamente d'accordo. Per quanto ne posso dire io, potrebbe venire da un altra galassia. Provate a leggerlo anche voi. Se avete un minimo di educazione di tipo tecnico-scientifico, avrete anche voi la stessa impressione. 

Attenzione! Non sto pubblicando questo testo per esporlo al ludibrio di chicchessia, e nemmeno per criticarlo. Anzi, sono ammirato dalla franchezza dell'autrice, che non conosco personalmente ma che sono straconvinto sia un'ottima persona. Se vi presento questo testo, è un po' come per presentarvi un ode funebre. Questo testo non è una poesia, ma in un certo senso ha un valore poetico. E' un'ode alla morte della scienza. 

La scienza, si, quella che era partita dagli astronomi del rinascimento che meticolosamente, faticosamente, notte dopo notte, raccoglievano dati sul moto dei pianeti e delle stelle. Forse pensavano davvero che ci fossero degli angeli a spingere, ma questo non rendeva il loro lavoro meno meticoloso. La scienza di Galileo, quella che "la sapienza è figliola della sperienza." La scienza, quella fatta del "1% di ispirazione e il 99% di traspirazione," quella per cui niente che non sia rigorosamente provato è vero, e dove tutto è quantificato, tutto è misurato, tutto è valutato. Quella scienza che ci insegnavano quando eravamo matricole all'università. Forse non era mai veramente esistita, ma ci credevamo. E se ci credevamo, in un certo senso esisteva. 

Ed è tutto svanito. Non so a voi che effetto fa vedere la faccia di uno dei tanti virologi televisivi che hanno imperversato negli ultimi due anni e mezzo. A me, fa un effetto tipo quello che mi aspetterei se baciassi un'aliena che ha appena bevuto uno Spritz all'acido cloridrico. E non sono il solo ad avere questa sensazione. Conosco tantissime persone che si sono sentite pesantemente imbrogliate da come sono state trattate durante gli ultimi due anni e mezzo, sempre con la scusa della "scienza." Queste persone hanno perso ogni fiducia nella scienza, perlomeno in quella "ufficiale." Non che siano diventati tutti terrapiattisti, ma ora notano i tanti imbrogli che ci stanno rifilando in nome della scienza. E mi sa che queste persone non siano dalla parte dei più tonti nella curva gaussiana. 

Purtroppo, si può anche esagerare con questo atteggiamento. E' anche venuto fuori un gruppo di persone che rifiutano la scienza in toto e si rifanno una loro visione dell'universo sulla base di presupposti completamente diversi. Come fa, fra i tanti, l'autrice di questo testo. E non c'è modo di mettersi d'accordo. La scienza (quella cosa che chiamavamo "scienza") parte da certi presupposti, postulati se volete. Non li si possono veramente dimostrare. Si possono accettare o rifiutare. Se uno li rifiuta, ne possiamo solo prendere atto. Ed è colpa degli scienziati se agli occhi di tanta gente la scienza è diventata un'accozzaglia di corrotti imbroglioni al soldo dei poteri forti. 

Può darsi che, come tante altre cose, tipo il comunismo o il culto di Giove Pluvio, anche la scienza abbia concluso il suo ciclo. Forse così doveva essere per qualche ragione -- forse qualcuno, nei quartieri alti, ha voluto distruggerla perché dava fastidio con la sua insistenza su certe cose tipo la necessità di far qualcosa contro il cambiamento climatico. Comunque sia, così è andata. 

E allora? Beh, non ci resta che marciare verso il futuro al buio, con gli occhi bendati, e con il nervo ottico reciso. Cosa mai ci potrebbe succedere di male?   

UB



<..> Occorre tenere presente che gli stessi centri di potere (militare in primis) che cavalcano il catastrofismo climatico antropico e forniscono le loro soluzioni, sono gli stessi che hanno costruito la “narrazione” dei cambiamenti climatici, consapevoli del ruolo e del potere che una simile narrazione poteva comportare in futuro.

Che i cambiamenti climatici dipendano dalla storia terrestre e dai suoi cicli naturali di raffreddamento e riscaldamento è un’ipotesi sensata dal momento che la terra non è una macchina; è un organismo vivo che evolve, che influenza altri organismi e che da essi è influenzato. Poi c’e’ la responsabilità di quella parte di umanità che ha danneggiato e danneggia tutt’ora lo strato dell’ozono con l’esplosione di bombe nucleari e con il lancio di razzi e di satelliti, che utilizza tecnologie elettromagnetiche capaci di modificare la ionosfera, che irrora i cieli con sostanze che schermano la luce solare apportando una modifica delle condizioni climatiche, oltre ad essere nocive per tutti gli esseri viventi.

Forse l’inganno della co2 come il peggiore dei mali possibili si svela quando realizziamo che non è un inquinante, è il componente principale degli esseri viventi, e senza di essa le piante non sopravvivono….. e nemmeno gli esseri umani, per lo meno fino a quando resteranno tali 

Si potrebbe pensare che ne è stata immessa in eccesso, ma allora perché dalla storia della terra emerge che i periodi con più concentrazione di CO2 (superiore a quello attuale) corrispondevano ad una massima esplosione della vita vegetale? e poi perché i “negazionisti dei cambiamenti climatici” che vedono nel programma di decarbonizzazione una catastrofe ambientale vengono oscurati senza permettere loro un confronto?

Una volta si accusavano giustamente i negazionisti di essere pagati dalle compagnie petrolifere per negare il riscaldamento climatico (poi modificato in cambiamento).

Con la stessa foga avremmo dovuto chiederci da chi erano finanziati i promotori del catastrofismo climatico (Al Gore, Club di Roma, ONU, OMS IPCC, NATO WWF…….. dietro di loro avremmo trovato Rockfeller, Soros, la monarchia inglese……)

Io non so che impatto ha la CO2 sul cambiamento del clima, ma soprattutto non so se il clima sta cambiando e quali sono le cause, di sicuro i signori del male non dichiareranno mai guerra alla macchina bellica e alle sue emissioni di cloruri metalli pesanti radiazioni e co2, come non se la prenderanno mai con i razzi che portano in cielo i satelliti di Musk e di Bezos.

Se la prendono guarda caso con la molecola meno nociva tra le tante…… chissà, forse un giorno oltre ad accusarci di essere in troppi, ci chiederanno di ridurre l’espirazione di anidride carbonica…… così come alcuni “ambientalisti” stanno colpevolizzando i cadaveri degli alberi di emettere co2 durante la decomposizione.

Nel frattempo, con la scusa dell’emergenza energetica, in alcune parti dell’Europa (Romania) si sta autorizzando l’abbattimento delle foreste “protette”, si sta implementando l’utilizzo di gas di scisto, sta aumentando l’utilizzo del carbone, si stanno riattivando centrali nucleari, si impongono pericolosi rigassificatori ad alto tasso di inquinamento, aumenta l’estrazione di petrolio, si installeranno mostruose pale eoliche e fotovoltaico ovunque….. insomma, stiamo assistendo ad una accelerazione della distruzione della terra e “all’inevitabile” aumento di co2 in atmosfera.

Bene ha scritto un mio amico del ridicolo orologio che segna il tempo che manca alla catastrofe….. perché è anche nei particolari grotteschi che si scorge l’inganno. A tal proposito è utile ricordare alcune celebri dichiarazioni apocalittiche provenienti da voci “autorevoli”: ONU 1989: se non si inverte il riscaldamento globale entro il 2000 l’innalzamento dei mari provocherà disastri,

Al Gore 2008: l’intera calotta polare artica scomparirà entro 5 anni (2013).

Di queste dichiarazioni con date sparate a “caso” ce ne sono state una infinità e tutte quante hanno avuto il compito di instillare paura, di far prendere confidenza con un futuro pericolo e con la necessità che qualcuno lo gestisse.

Questa mattina il cielo era blu, pulito, poi i soliti aerei hanno cominciato ad irrorare formando una sottile velatura. E’ il caso di dire che ce la fanno proprio sopra gli occhi! Tante persone non hanno più memoria dei bei cieli blu del passato. E’ come se il cielo fosse un’entità che non gli “appartiene”, non è affare loro…… e a me questa mentalità preoccupa molto di più della CO2.

La realtà è che ci ingannano indicandoci un problema per nasconderne altri e ben più gravi. Trasformando la co2 da molecola che sostiene la vita in un ennesimo nemico invisibile da combattere,i signori del male hanno intrapreso lo scontro finale contro la natura, che si chiama transizione ecologico/digitale. Si sta realizzando il piano per controllare e manipolare la vita, clima compreso, perciò possiamo individuare nella teoria dei cambiamenti climatici lo strumento per portarlo a compimento, e con la benedizione della massa green, diventata utile idiota dell’ Agenda transcodigitale.

Secondo la testimonianza di Nigel Calder, alla fine degli anni 80 Margaret Thatcher andò alla Royal Society e disse ai tecnici dell’IPCC: “ecco i soldi per provare la tesi del riscaldamento globale di origine antropica!”. Loro elaborarono il primo grande rapporto che predisse il disastro climatico come risultato del riscaldamento globale. Quando Calder andò alla conferenza stampa scientifica, rimase impressionato da due cose: Primo, la semplicità e la forza d’urto del messaggio. Secondo, la totale indifferenza riguardo a tutta la scienza climatica di quel tempo e in particolar modo al ruolo del sole, che invece era stato l’argomento di un importante incontro alla Royal Society soltanto alcuni mesi prima.





mercoledì 6 settembre 2017

Domani comincia a Firenze la prima Summer Academy del Club di Roma



Prove tecniche per la scuola estiva del Club di Roma che comincia domani a Firenze. Nella foto, vedete il segretario generale del Club, Graeme Maxton, sulla sinistra. Di spalle, Elisabetta Cortelli, responsabile dell'organizzazione per l'Università di Firenze. Sullo schermo, David Korten, che parlerà ai partecipanti via teleconferenza. 


Un commento di Marco Sclarandis


Se invece che due secchi una tinozza

te ne fai bastare uno ed una mezza

per toglierti la polvere il sudore

di dosso allora sei dei nostri

ed anche se il tuo piatto e la scodella

sono pieni quanto basta per saziarti

sia di feriale giorno che festivo

sempre sei con noi nei fatti

lo sei se pensi prima di iniziare

il tragitto che ti separa dal lavoro

e non muovi un elefante per trainarti

se al guinzaglio il cane basterebbe

di noi fai parte assolutamente quando

le tue mani la tua mente gli occhi

mutano metallo cera vetro creta

in manufatti e non in mera merce

ricordando che polvere eravamo

seppur di stelle e della terra

terrestre letame diverremo

gli altri non ti saranno amici come noi

ed anche nemici certamente

ma se ci hai scelto hai preso

un biglietto di riffa fortunata

e loro quello di una lotteria ingannevole

se ti fermi e osservi il tempo

la caduta delle foglie le crisalidi

che attendono la schiusa

vedi quanto ogni cosa sia elencata

con la sua data il suo posto numerato

il limite che superato sbatte nella fossa

e tu non vorrai quindi da stolto superarlo

e se i tuoi avi l'hanno fatto

tu non li seguirai errando

e insegnerai ai tuoi figli l'arte

del rimedio e dell'evitare il guasto

noi siamo i veri ricchi i re gli dei

gli altri s'accontentano d'essere arricchiti

satrapi tiranni demiurghi

scegli la tua gente adesso

domani non è un altro giorno

domani è troppo tardi.

Marco Sclarandis 

Ringrazio Alessandro Corradini per l'ispirazione.

















venerdì 18 novembre 2016

Jay Forrester: l'uomo che ha visto il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Jay Wright Forrester (1918-2016) potrebbe essere stato la fonte di ispirazione per Hari Seldon, un personaggio inventato della serie della Fondazione di Isaac Asimov. Nei racconti di Asimov, Seldon sviluppa “le equazioni psicostoriche” che gli permettono di prevedere il collasso imminente dell'Impero Galattico. Nel mondo reale, Forrester ha sviluppato le equazioni della dinamica dei sistemi” che gli hanno permesso di prevedere il collasso imminente della moderna civiltà umana. Le previsioni sono state ignorate dai poteri imperiali di entrambi gli universi, quello della finzione e quello reale. 

Jay Forrester, una delle grandi menti del XX secolo, è morto a 98 anni qualche giorno fa. La sua carriera è stata lunga e fruttuosa e possiamo dire che il suo lavoro ha cambiato la storia intelletuale dell'umanità in diversi modi, in particolare per il ruolo che ha avuto nella nascita del rapporto al Club di Roma “I limiti dello sviluppo”.

Nel 1969, Forrester era un membro della facoltà del MIT quando ha incontrato Aurelio Peccei in Italia. A quel tempo, Peccei aveva già fondato il Club di Roma, i cui membri erano preoccupati dai limiti delle risorse naturali che la terra poteva fornire. Stavano cercando di capire quali conseguenze ci sarebbero per l'umanità. Da quello che scriveva Peccei, sembrava chiaro che vedesse la situazione in gran parte in termini malthusiani, pensando che la popolazione umana sarebbe cresciuta fino al raggiungimento dei limiti delle risorse e poi sarebbe rimasta lì, tenuta sotto controllo da carestie ed epidemie. La principale preoccupazione di Peccei e del Club di Roma  era quella di evitare la sofferenza umana assicurando una distribuzione equa di quello che c'era a disposizione.

lunedì 9 novembre 2015

Il Club di Roma; quasi mezzo secolo dopo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Il Club di Roma ha tenuto la sua assemblea generale a Winterthur, in Svizzera, il 16-17 ottobre 2015. Nell'immagine, potete vedere Ugo Bardi (al centro) insieme ai co-presidenti del Club, Anders Wijkman (a destra nella foto) ed Ernst Von Weizsacker (a sinistra).


Quasi mezzo secolo fa, nel 1968, Aurelio Peccei riuniva per la prima volta il gruppo che in seguito sarebbe diventato famoso come il “Club di Roma”. L'obbiettivo del gruppo non era quello per cui il Club è diventato famoso, “I Limiti dello Sviluppo”. A quel tempo, il concetto di limiti era vago e scarsamente compreso e l'interesse dei membri era, piuttosto, verso una distribuzione equa delle risorse della Terra. Ciò che ha spinto Aurelio Peccei era il tentativo di combattere la fame, la povertà e l'ingiustizia.

venerdì 11 settembre 2015

Una recensione di Extracted di Ugo Bardi

Da “OneManTalk.com”. Traduzione di MR (via Club of Rome)

Di Stephen Northey



Mio voto: 7 /10

Titolo: Extracted, come la ricerca della ricchezza minerale ha saccheggiato il pianeta (Link amazon)

Autore: Ugo Bardi



Extracted potrebbe essere descritto come la storia delle risorse della società. Da dove sono venute e dove vanno. Le risorse hanno permesso alla società di sviluppare le moderne tecnologie che stanno alla base del nostro attuale stile di vita. Insieme a questo viene però un livello di dipendenza dalle risorse minerali. Un livello che sarà difficile da sostituire se le risorse dovessero finire.

sabato 11 ottobre 2014

Herman Daly: tre limiti alla crescita.

Di Herman Daly
Articolo pubblicato la prima volta su Center for the Advancement of the Steady State Economy.   
Traduzione e commento di Jacopo Simonetta


Sostanzialmente, quest’articolo riassume gli stessi concetti espressi in un altro, precedentemente tradotto su questo blog.    In un periodo in cui siamo quotidianamente assillati dalla necessità di rilanciare la crescita, forse non è male ricordarsi che la crescita del PIL può generare sia ricchezza che povertà, a seconda del contesto in cui si verifica.

In questo articolo vi è anche un’osservazione circa gli effetti della tecnologia che l’illustre autore discute, ma senza trarne le conclusioni.   Per questo motivo, alla fine dell’articolo mi permetterò un commento alla traduzione.

Man mano che la produzione (PIL) cresce, il suo margine utile declina perché si soddisfano prima i bisogni più importanti.   Allo stesso modo, i costi inflitti dalla crescita aumentano perché, via via che l’economia si espande all’interno dell’ecosfera, sacrifichiamo per primi i meno importanti fra i servizi ecologici (entro i limiti in cui li conosciamo).   L’aumento dei costi e la riduzione dei vantaggi connessi con la crescita è schematizzata nel diagramma seguente.


Nel diagramma possiamo distinguere tre diversi concetti di limite alla crescita.
  
1 – Il “limite della futilità” si raggiunge quando l’utilità marginale della produzione raggiunge lo zero-   Anche in assenza di costi di produzione, c’è un limite a quanto possiamo consumare e goderne.   C’è un limite a quanti beni possiamo utilizzare in un dato tempo così come ci sono limiti al nostro stomaco ed alle capacità sensoriali del nostro sistema nervoso.    In un mondo con molta povertà, ed in cui il povero osserva il ricco che apparentemente gode sempre più della sua ricchezza , il limite della futilità si pensa che sia molto lontano, non solo per i poveri, ma per tutti.   Mediante il postulato di “non sazietà” l’economia neoclassica nega formalmente il concetto di limite della futilità.   Ciò nondimeno, studi dimostrano che al di là di una soglia, la felicità auto-valutata (utilità completa) cessa di crescere con il PIL, rafforzando la rilevanza di questo limite.
  
2 – Il “Limite della catastrofe ecologica”  è rappresentato da una ripida crescita tendente alla verticale della curva dei costi marginali.   Qualche attività umana, o nuova combinazione di attività, può indurre una reazione a catena, od il superamento di un punto critico, ed il collasso della nostra nicchia ecologica.   Il principale candidato per il limite della catastrofe attualmente è il cambiamento climatico indotto dai gas-serra emessi per perseguire la crescita economica.   Dove questo limite si situa lungo l’asse orizzontale rimane incerto, ma devo rimarcare che il presumere un graduale continuo aumento della curva dei costi marginali è assolutamente ottimistico.     Data la nostra scarsa comprensione di come funziona l’ecosistema, non possiamo essere sicuri di avere correttamente sequenziato il sacrificio dei servizi ecologici dai meno ai più importanti.   Perseguendo la crescita, possiamo ignorantemente sacrificare un servizio ecosistemico vitale al posto di uno banale.    Quindi la curva dei costi marginali in realtà cresce zigzagando in modo discontinuo.   Ciò rende difficile separare il limite della catastrofe dal terzo e più importante limite: il limite economico.
  
3 - Il “ Limite economico” è definito dalla parità fra costi e benefici marginali e conseguente massimizzazione del beneficio netto.   La buona notizia con il limite economico è che dovrebbe essere il primo limite che si incontra.    Certamente arriva prima del limite di futilità e facilmente prima del limite della catastrofe anche se ciò, come già osservato, non è certo.   Al peggio, il limite della catastrofe può coincidere con il limite economico.   Perciò è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli il più possibile nella curva dei costi.   

Dal grafico risulta evidente che l’incremento di produzione e consumo si può chiamare correttamente “crescita economica” fino al limite economico.   Oltre questo punto diviene crescita anti-economica perché fa crescere i costi più rapidamente dei vantaggi rendendoci sempre più poveri, non sempre più ricchi.   Disgraziatamente pare che perseveriamo a chiamarla “crescita economica”!   Difatti non troverete il termine “Crescita anti-economica” in nessun testo di macroeconomia.   Ogni aumento del PIL è chiamato “crescita economica” anche se fa crescere i costi più rapidamente dei benefici.

Gli economisti noteranno che la logica appena utilizzata è familiare in microeconomia – La parità fra costi marginali e benefici marginali definisce la dimensione ottimale di un’unità microeconomica, sia questa un’azienda od una famiglia.   Questa logica non è tuttavia applicata in macroeconomia il cui obbiettivo è il tutto e non le sue parti.   Quando una parte si espande all'interno di un Tutto delimitato, impone dei costi alle altre Parti che devono stringersi per fargli spazio.   Viceversa, quando il Tutto stesso si espande, si pensa che non imponga costi aggiuntivi in quanto non sposta niente, espandendosi nel vuoto.   Ma il sistema macroeconomico non è il Tutto.    Anch'esso è una parte, una parte di una più grande economia della natura, l’ecosfera, e la sua crescita infligge dei costi al Tutto delimitato che devono essere presi in conto.   Ignorare questo fatto conduce molti economisti a ritenere che la crescita del PIL non possa mai essere antieconomica.
Economisti standard possono accettare questo diagramma come una rappresentazione statica, ma argomentano che in un mondo dinamico la tecnologia sposterà la curva dei benefici marginali verso l’alto e quella dei costi verso il basso, spostando l’intersezione (limite economica) sempre verso destra, cosicché la crescita continua rimane sia desiderabile che possibile.   Tuttavia i sostenitore dello slittamento delle curve macroeconomiche dovrebbero ricordare tre cose.   

Primo, la crescita fisica  della macroeconomica è comunque limitata dalla sua dislocazione di un’ecosfera delimitata e dalla natura entropica della sua produzione.  Secondo, La temporalità delle nuove tecnologie è incerta.   La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o divenire disponibile solo dopo che abbiamo superato il limite economico.   Dobbiamo allora sopportare una crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve slittino?    Terzo, ricordiamoci che le curve possono slittare anche in senso contrario, spostando il limite economico verso sinistra.   Lo sviluppo tecnologico del piombo tetraetile e dei clorofluorocarbonati ha spostato la curva dei costi verso l’alto o verso il basso?   E che dire dell’energia nucleare?    

L’adozione di un’economia stazionaria ci consente di evitare di essere spinti al di là del limite economico.   Ci consente di valutare con calma la nuova tecnologia  piuttosto che lasciarla  spingere ciecamente una crescita che potrebbe essere antieconomica.   E la stazionarietà ci assicura contro il rischio di catastrofe ecologica che aumenta con la crescita e l’impazienza tecnologica.


A chiosa dell’articolo di Daly, vorrei osservare che, curiosamente, l'illustre autore non evidenzia il maggiore fra i rischi connessi con lo “slittamento” del limite economico indotto dal progresso tecnologico.   Così facendo, infatti, la tecnologia inevitabilmente avvicina il limite economico a quello di catastrofe, rendendo il superamento di questo sempre più probabile man mano che la tecnologia diviene più potente.

Catastrofi locali indotte da imprese industriali ne sono avvenute e ne stanno avvenendo molte.   Le tar sands canadesi ed il marmo apuano sono due esempi tipici in cui una tecnologia molto avanzata sta mantenendo il limite economico ben oltre il limite della catastrofe.

Catastrofi globali indotte dalla tecnologia non ne abbiamo ancora viste, ma esempi catastrofi di portata regionale in cui intere civiltà sono collassate a cause del superamento dei limiti ecologici ne abbiamo invece a bizzeffe.   Questo è un altro fra i numerosi argomenti che inducono a temere che la tecnologia possa essere in realtà proprio la causa principale delle ricorrenti tragedie che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.    Un’ipotesi certamente discutibile, ma che la maggior parte delle persone si rifiuta anche di prendere in considerazione.   

Perfino nel caleidoscopico dell’ambientalismo, del “picchismo” ed affini la fiducia nel potere taumaturgico della tecnologia è profondissimamente radicata. 
Non potrebbe essere altrimenti.    L’uomo, come specie, si è evoluto esattamente sviluppando la capacità di produrre tecnologia.   E’ questa la principale caratteristica distintiva ed identitaria della nostra specie; chiedere ad un umano di diffidare della tecnologia è come dire ad un gatto che i suoi artigli ricurvi potrebbero condurlo in perdizione.   Oppure come diffidare un coniglio dal saltare.   Eppure, se osserviamo i processi che conducono all’estinzione delle specie troviamo che sono proprio le specie più mirabilmente adattate ad una determinata condizione ambientale le prime a scomparire quando l’ambiente cambia.

Che l’ambiente globale stia cambiando molto rapidamente ed irreversibilmente è un fatto su cui non si può che concordare, ma quando si passa a discutere sulla strategia evolutiva da adottare, non esistono due persone che la pensano esattamente allo stesso modo.   Ciò non significa che l’evoluzione non ci sarà.   

Ci sarà, anzi è già in corso, solo che non potremo pianificarla come ci piacerebbe; bensì dovremo procedere per tentativi ed errori, come abbiamo sempre fatto fin dai tempi dei nostri antenati procarioti.


venerdì 5 settembre 2014

Limiti dello sviluppo: ma davvero era possibile che andasse diversamente?

Jacopo Simonetta

Per quasi 50 anni abbiamo ripetuto fino alla nausea che il nostro modello di sviluppo era intrinsecamente suicida e che, se non lo si fosse cambiato in tempo, avrebbe condotto l’umanità ad una catastrofe senza precedenti.  Qualcuno ci ha creduto e molti no.

Di fatto, siamo in orario sulla tabella di marcia.

Ed ora che siamo sommersi da notizie che confermano molte delle più funeste previsioni ci pervade un’ansia crescente che facilmente sfocia in angoscia, panico, depressione o ferocia, a seconda dei casi.
Secondo me, ciò dimostra almeno due cose:

   1- Il sistema socio-economico globale è davvero una struttura dissipativa complessa, vale a dire un sistema termodinamico. Dovrebbe essere una banalità, ma chi pratica un minimo di letteratura economica e politica scoprirà che la maggior parte delle persone ignorano o addirittura negano questo semplice fatto.

   2- Il sistema socio economico globale è totalmente acefalo. Pare strano, ma ad onta di un’intelligenza infinitamente superiore a quella di qualunque altro animale mai esistito, l’uomo ha agito sostanzialmente  come avrebbe fatto se fosse stato privo di qualunque informazione e volontà propria. In altre parole, la sommatoria di parecchi miliardi di cervelli è risultata zero.

Se poniamo una muffa in una scatola Petri con un substrato diversificato, questa comincerà a crescere consumando prima le risorse di migliore qualità e via via le altre.   Nel frattempo, evolverà, “cercando” di sfruttare sempre meglio il sempre meno che le rimane, finché digerirà sé stessa ed Amen.

L’umanità nel suo pianeta ha fatto e continua a fare sostanzialmente questo.  

Fortunatamente, la Terra è un sistema aperto per cui non raggiungeremo mai l’equilibrio termodinamico (alias scomparsa di ogni struttura, vivente o meno) cui ci si avvicina molto nella scatola Petri, ma ciò non toglie che se sostituiamo la parola “tecnologia” con quella “enzimi” la nostra strategia rimane sostanzialmente identica a quella della muffa.

Un fatto che mette a disagio coloro che, come me, hanno predicato invano per decenni.   Che cosa dovremmo fare, da ora in poi?

Molti continuano a mettere in guardia contro un possibile collasso, tacendo pudicamente il fatto che è già iniziato.

Altri, come me, si vanno a rileggere i “sacri testi” della gioventù (Meadows, Georgescu-Roengen, Galbraith, Catton, ecc.) e si domandano: ma davvero era possibile che andasse diversamente?

Autori di vaglia cercano la risposta chi nel ruolo antropologico e simbolico della “macchina”, chi rintracciando le radici della cultura moderna fin nella città medioevale, chi analizzando la termodinamica del sistema produttivo globale, chi studiando il sistema di “pompe di soldi” che muove la finanza mondiale.

Molto più semplicemente, ho fatto alcune riflessioni sull'aspetto demografico della questione, per la semplice ragione che all'atto pratico, sovrappopolazione significa: disoccupazione, deterioramento del territorio e delle risorse, crisi dello stato sociale... Vi ricorda niente?  

Fin da quando, negli anni ‘70,  il problema divenne evidente, l’attenzione fu da subito concentrata sulla necessità di limitare le nascite. In questo modo, si pensava, la crisi di sovrappopolazione sarebbe stata grave, ma passeggera e la fine della crescita demografica avrebbe fermato anche la crescita economica, senza bisogno di dichiararlo troppo apertamente. Magari verso la fine del XXI secolo si sarebbe potuto raggiungere una situazione  “sostenibile”.

Ma non è andata così.
World's mortality rate

 Years
Mortality
Rate %
1950 - 1954
1.97
1955 - 1959
1.74
1960 - 1964
1.56
1965 - 1969
1.34
1970 - 1974
1.16
1975 - 1979
1.09
1980 - 1984
1.03
1985 - 1989
0.96
1990 - 1994
0.94
1995 - 1999
0.90
2000 - 2004
0.88
2005 - 2010
0.85
2011 - 2012
0.83
Dati UN
Un po’  perché i tassi di natalità non sono scesi sufficientemente nella maggioranza dei paesi, ma soprattutto perché la strabiliante crescita demografica della seconda metà del XX° secolo è stata dovuta solo in piccola parte alle nascite.   In gran parte è dipesa, invece, da una spettacolare diminuzione della mortalità; a sua volta conseguenza di un’altrettanto spettacolare miglioramento nella qualità e quantità dei servizi sanitari.
E l’industria sanitaria è forse la più energivora ed inquinante che esista.   Non solo per i servizi che eroga, ma anche per l’apparato di ricerca, sviluppo e produzione che coinvolge massicciamente l’intera società.   Un immensa “macchina” che per vivere e progredire necessita di un substrato socio-economico capace di fornire un flusso continuamente crescente di risorse.  In altre parole, solo il tipo di  crescita economica ed industriale che effettivamente c’è stato poteva consentire un tale progresso della medicina.   Chi, onestamente, sarebbe stato disposto a rinunciarci? 

Passando dal passato al futuro, può forse esserci di aiuto osservare ciò che è accaduto in Europa orientale, ad esempio in Bulgaria.
A partire dai primi anni ’70, il progressivo peggioramento dell’economia e, di conseguenza, dei servizi socio-sanitari e dell’alimentazione, ha causato un progressivo incremento della mortalità, culminato con il collasso delle strutture statali negli anni ’90.   Nei decenni successivi la situazione socio-economica è migliorata e la mortalità diminuita.   E’ interessante notare come vi sia una differenza importante fra uomini e donne, causata dalla molto maggiore incidenza che le morti per violenza, alcolismo, incidenti e suicidio hanno fra i maschi.
Comunque, mentre la mortalità complessiva saliva, la natalità scendeva, per poi tornare a salire quando la situazione è migliorata, ma restando sotto il livello precedente il 1990.   Inoltre, essendo un paese povero e guardingo delle sue frontiere, la Bulgaria ha un tasso di immigrazione negativo. 

Ne consegue che, dal 1990 ad oggi, la popolazione bulgara è in costante diminuzione, contrariamente a quella italiana che, nello stesso periodo, è aumentata di 4 milioni di persone.

Perché è interessante questo? Perché, man mano che la crisi economica peggiorerà e che lo stato taglierà i servizi socio-sanitari, è probabile che succeda qualcosa del genere in tutta Europa. Del resto, in Grecia abbiamo già un incremento della mortalità, associato ad un calo della natalità. Non è bello dirlo, ma questo è uno dei pochi spunti all'ottimismo che la scienza odierna ci fornisce. Quando infatti una popolazione qualsiasi supera la capacità di carico del territorio, la sua crescita può ancora continuare, ma a costo di degradare progressivamente il territorio.   In altre parole, più si rimanda la “resa dei conti”, più questa sarà salata.

E quando la popolazione comincia a diminuire, ci sono sostanzialmente due alternative possibili:
La prima, è che la popolazione diminuisca in modo parallelo o più lento, rispetto al degrado delle sue risorse vitali.   In questo caso non si torna mai ad un equilibrio e si giunge alla distruzione delle risorse ed all’estinzione della popolazione.
La seconda, è che la popolazione diminuisca più rapidamente delle risorse.   In questo caso, dopo un certo tempo, si ritrova un equilibrio.

Purtroppo, la prima ipotesi figura nel celebre modello “World3” che, finora, si è dimostrato spaventosamente affidabile. Ma World3 incorpora fra i suoi algoritmi la teoria della “transizione demografica”  secondo la quale al peggiorare delle condizioni di vita dovrebbe far riscontro un aumento della natalità. L’esperienza reale e recente dell’Europa orientale, ad oggi, è diversa e ci da speranza, perlomeno per i nostri nipoti.  





giovedì 8 maggio 2014

Pubblicato il libro di Ugo Bardi “Extracted”

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

(una versione più breve, e anche un po' datata (2011), è disponibile in Italiano con il titolo "La Terra Svuotata"


Il mio nuovo libro, “Extracted” ora è in vendita. E' una versione aggiornata in inglese dell'originale in tedesco che è stata pubblicata lo scorso anno. Potete comprarlo direttamente dall'editore, Chelsea Green o dai soliti siti internet.

Questo libro è stato un grande lavoro, ma devo dire che sono molto contento del risultato finale e vorrei ringraziare i miei coautori, che hanno fornito le competenze specialistiche per gli “scorci” sui beni minerali specifici, lo staff di Chelsea Green per il loro aiuto altamente professionale, e lo staff del Club di Roma per aver reso possibile l'impresa.

Le prime reazioni al libro sembrano molto favorevoli, il che è, credo, un po' preoccupante. Per fortuna, c'è stata almeno una recensione negativa su Amazon.com da parte di qualcuno che dice che si sente “insultato” dal libro, ciononostante gli da una valutazione di tre stelle su cinque!

Ecco un esempio di recensione ricevuta, questa è apparsa su “Publishers Weekly”:

La nostra enorme infrastruttura di estrazione sta mostrando segni di tensione, scrive Bardi (I limiti dello Sviluppo Rivisitati), professore di chimica all'Università di Firenze, in questa perspicace, anche se pessimistica, descrizione della storia, del funzionamento e del futuro dell'industria. Tutti i minerali estratti che includono carbonio (carbone, petrolio e gas) sono risorse non rinnovabili la cui disponibilità sta già diminuendo. Tristemente, come col riscaldamento globale, ci sono scettici e negazionisti che insistono che (a) non è vero e (b) che la tecnologia sistemerà queste questioni. Gli stessi contraristi dichiarano, correttamente, che abbiamo estratto una percentuale minima di petrolio, ferro p persino di oro dalla crosta terrestre. Ma ignorano che, mentre la qualità del minerali diminuisce e l'estrazione diventa più difficile, il prezzo aumenta. Per esempio, platino (essenziale nei convertitori catalitici), argento e petrolio costano quattro volte di più che nel 2000. Questi presumono anche che la tecnologia produrrà una “macchina mineraria universale”, che consumerà pietra comune estraendone qualsiasi cosa di valore. Anche se in teoria sarebbe possibile, tale macchina richiederebbe immense quantità di energia, lasciandosi dietro una quantità di rifiuti impensabile. Bardi conclude che le cose devono cambiare e anche se il suo non è un libro incoraggiante, i lettori apprezzeranno il suo racconto intelligente, lucido e inquietante della nostra cattiva gestione delle risorse minerali . (May)

Quindi il libro sembra aver avuto una buona partenza, vedremo come procedono le cose. Il lancio "ufficiale" del libro avverrà a Brussels il 12 giugno.


mercoledì 9 aprile 2014

Il solito Club di Roma

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR


Il commento di Nafeez Ahmed sul “Saggio finanziato dalla NASA” (un termine diventato virale) sul collasso della società è stato seguito da un dibattito acceso. In un mio precedente post, ho commentato come stavamo vedendo ancora una volta il dibattito che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Infatti, è lo stesso dibattito, completo degli errori e delle interpretazioni sbagliate di allora.

Allora, vediamo di esaminare la contestazione del post di Ahmed pubblicata da Keith Kloor. Kloor cerca appoggio alle proprie argomentazioni su diverse opinioni esterne. Per esempio, cita Mark Sagoff dichiarando:

“A un certo punto, ieri ho dato un'occhiata l'articolo ed ho visto che si trattava ancora una volta del Club di Roma – il computer che urlava al lupo al lupo. [...] Non c'è niente qui [nel saggio] che non sia stato presentato negli anni 60 e 70 da Paul Ehrlich e da altre “Cassandre” come chiamano sé stessi. I loro punti di vista, ripetuti in questo articolo e studio [del Guardian], sono stati completamente screditati. […] Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo".

Direi che, prima di criticare un saggio, bisognerebbe esaminarlo un po' più a fondo che semplicemente “dargli uno sguardo”. Infatti, qui Sagoff giustifica la sua posizione semplicemente sulla base di vecchie leggende che dicono che i punti di vista del Club di Roma “sono stati completamente screditati”.

E' curioso notare che il termine “Club di Roma” è ancora così spesso associato con l'idea che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” sia stato completamente screditato. Non è così e c'è una ampia letteratura che mostra che i risultati dello studio sono risultati essere validi per descrivere la situazione attuale. Il “computer che gridava al lupo” è solo una delle tante leggende che sono diventate virali ed infettano ancora il cyberspazio. Infatti, la dichiarazione di Sagoff “Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo” descrive meglio i critici dello studio che non i suoi sostenitori.

Un altro autore che Kloor cita a sostegno della sua tesi è Vaclav Smil. Kloor non riporta ciò che gli ha detto Smil, ma possiamo trovare l'opinione di Smil su questa materia in un saggio apparso sulla “Rivista della Popolazione e dello Sviluppo” nel 2005, dove ha criticato “I Limiti dello Sviluppo” principalmente sulla base di dichiarazioni di scetticismo e sul fatto che il modello è “troppo semplice” per descrivere il mondo reale. Per darvi un'idea del tono e della sostanza delle argomentazioni di Smil, considerate la seguente frase:

[Nel modello] il declino del terreno arabile continua a diminuire la produzione di cibo, mentre nel mondo reale c'è, globalmente, un surplus osceno di cibo, visto che epidemie di obesità colpiscono sempre più paesi.

Riuscite a vedere il problema qui? Smil scambia un parametro per il modello. “Il terreno arabile” è un parametro del modello. NON è il modello. E, naturalmente, il declino del terreno arabile come parametro ha l'effetto di diminuire la produzione di cibo: come potrebbe essere altrimenti? Ma il modello ha altri parametri relativi alla produzione di cibo: energia, fertilizzanti, tecnologia ed altro. Il risultato è che la produzione di cibo può continuare ad aumentare nonostante il declino del terreno arabile. Quindi, il modello descrive correttamente il comportamento del mondo reale (ahimè, fino ad ora; cosa succederà in futuro è tutto da vedere).

Questo è lo stesso errore che ha fatto William Nordhaus nel 1973 quando ha criticato un modello simile a quello usato per I Limiti dello Sviluppo, prendendo una singola equazione dal modello e mostrando che l'equazione – di per sé – non poteva riprodurre il comportamento del mondo reale. Ovvia: tagliate una zampa ad una rana e osservate che la zampa, da sola, non salta. Quindi concludete che le rane non saltano. Logica impeccabile (vedi “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati” per i dettagli di questa storia).

C'è molto di più da dire sullo “studio finanziato dalla NASA” ed è del tutto possibile criticarlo per motivi validi. Sfortunatamente, tuttavia, i “dibattiti” su questo tema sembrano mostrarci più che altro il potere delle leggende di condizionare le menti umane. E vedremo sempre la stessa posizione: visto che non ci piave il risultato del modello, allora il modello non può essere vero. Non riusciamo a capire che i modelli sono soltanto strumenti, mai delle profezie.




(*)
The Limits to Growth Revisited
Looking back on the limits to growth
The World model controversy
Revisiting the limits to growth
...e molti altri