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venerdì 19 giugno 2015

La crisi Ucraina: se Atene piange, Sparta non ride.

di Jacopo Simonetta.

La guerra in Ucraina sta avendo effetti politici importanti e, sotto molti aspetti, sorprendenti.   Le analisi ed i pareri sono però molto più numerosi delle informazioni che, per la gente comune, rimangono confinate al campo delle opposte propagande.

Farsi un’idea realistica di cosa sia successo e di cosa stia accadendo è dunque quasi impossibile, così come immaginare i possibili sviluppi. Tuttavia, un aspetto importante di questo vasto corpo di letteratura, più o meno seria, sull'argomento è che si concentra sulle ragioni, reali o presunte, delle parti in conflitto.   Ma in guerra non vince chi ha ragione, bensì chi commette meno errori ed ho la sensazione che tutti ne stiano compiendo di catastrofici.

Apparentemente, nessuno tiene infatti in considerazione lo sgradevole fatto che l’umanità intera, e dunque tutti i paesi coinvolti nel conflitto, hanno iniziato la fase di impatto contro i Limiti della Crescita.    Ad esempio, senza essere un esperto di geopolitica, trovo assurdo parlare di una possibile nuova Guerra Fredda, senza tener conto di fatti come il picco petrolifero.

Dunque, anziché sostenere le ragioni di questo o quel contendente, vorrei qui tentare di avviare una discussione circa la situazione a partire dai tre punti seguenti:

1 – Il sistema socio-economico globale è entrato in una crisi irreversibile che porterà al collasso della civiltà industriale e ad un brutale ridimensionamento della popolazione umana mondiale.   Probabilmente la fase acuta del collasso comincerà fra 10-20 anni al massimo, ma non colpirà tutti i paesi allo stesso modo e nello stesso momento.  Un conflitto di ampia portata accelererebbe necessariamente il processo, non solo per il numero di morti nei bombardamenti, ma soprattutto per la distruzione di risorse ed infrastrutture che ben difficilmente potrebbero essere riparate o ricostruite.    In altre parole, i conflitti attuali e futuri in un modo o nell'altro finiranno, ma la ricostruzione sarà impossibile o molto parziale tanto per i vinti che per i vincitori.

2 – L’economia attuale è totalmente interconnessa.    Abbiamo visto come una crisi partita dagli stati Uniti abbia travolto l’Europa e quindi  la Russia , poi il Brasile e quindi il resto del mondo, fino a raggiungere la Cina.   Questo significa che il collasso di uno degli attori principali, trascinerebbe seco anche tutti gli altri.   Una situazione completamente opposta a quella che si verificava durante la guerra fredda.

3 – I metodi di guerra attualmente utilizzati dalle potenze di primo e secondo livello (quelli che possono usare aviazione, artiglieria e mezzi corazzati) sono quanto di più dissipativo sia mai uscito dalle officine umane.   Il loro impiego comporta  una distruzione di risorse, capitale reale ed informazione spropositatamente alto rispetto alla distruzione di persone.    Questo significa che, terminato il conflitto, la popolazione superstite si troverà in condizioni ancora peggiori di quelle che avevano scatenato la violenza.    Con l’alternativa di continuare a combattere con mezzi progressivamente più semplici, o attendere che la miseria ristabilisca l’equilibrio fra popolazione e risorse.

Dunque, precisando che le notizie di base di cui dispongo sono solo quelle inaffidabili dei media, vorrei pormi una prima domanda:   ad oggi che il fronte sembra nuovamente infiammarsi, chi ha perso?   Direi quasi tutti, ma non nella stessa misura.

Più di tutti, mi pare che abbiamo perso gli abitanti del Donbass.   Indipendentemente da come andrà a finire, si troveranno a vivere in una territorio devastato, con un’infrastruttura civile ed industriale a pezzi che nessuno avrà i mezzi, né l’interesse a ricostruire.   Sia la Russia che l’Ucraina hanno un’infinità di aree industriali più o meno diroccate in cui investire (se potessero); difficilmente lo faranno per delle zone che presumibilmente rimarranno vicine ad un confine conteso.    L’entità del danno si può arguire dall'importanza dell’esodo.   Per ora, dalla regione pare siano fuggite circa un milione di persone di cui circa un terzo verso ovest e due terzi verso est.   Dove siano finiti i primi non è dato sapere, ma ai secondi il governo russo offre la scelta fra Il Chukotka [territorio artico dello Stretto di Bering] o il Kamchatka, dove l’accoglienza è stata finora ben organizzata.   Ma aumentando il flusso di profughi, qui come altrove, l’atteggiamento dei residenti sta virando dalla solidarietà all'ostilità.

Poi, in ordine, direi che comunque ha perso l’Ucraina.   Ha perduto due delle sue regioni economicamente più importanti ed è quanto meno molto improbabile che le recuperi.    E se anche le recuperasse, sarebbero oramai un peso e non un aiuto.   Inoltre, la sua economia, già in bancarotta, sarà ancora per molto tempo schiacciata da spese militari che, comunque, non potranno mai permetterle di competere con il potente vicino.   Ancora peggio, il prevedibile peggioramento delle situazione economica e le sconfitte sul campo rischiano di portare al potere i partiti ultra-nazionalisti di ispirazione neo-nazista che, per il momento, fanno gran figura sulla stampa internazionale, ma rimangono elettoralmente marginali.

Al terzo posto, direi che viene la Russia, la cui situazione necessita di qualche parola in più.  Le vittorie sul campo consolidano infatti il suo governo, ma ne aumentano l’isolamento internazionale, a tutto vantaggio delle fazioni più nazionaliste.   Cosa che riduce i suoi spazi di manovra a livello politico e pregiudica i rapporti sia con gli stati satelliti, sia con le repubbliche a maggioranza non  russa attualmente comprese nella federazione.    Anche se ricorrono alla medesima retorica, vedo infatti una grande differenza fra il patriottismo sovietico (assolutamente transazionale e basato sull'adesione ad un comune credo politico) ed il nazionalismo russo attuale(basato soprattutto sulla comunanza linguistica e religiosa).     Sostenere che “la Russia è dove ci sono dei  russi” è un approccio estremamente pericoloso.   Inoltre, l’aver  sottratto all'Ucraina le due regioni più densamente popolate da russi (in parte già possessori di doppia cittadinanza) preclude definitivamente la possibilità che a Kiev torni  un governo filo-russo.

Sul piano economico,  il calo del prezzo del petrolio ha dato un colpo formidabile alla già traballante economia russa, la cui fase di recupero era già terminata da tempo.     Se il ribasso dei prezzi dovesse durare a lungo, o ripresentarsi con una certa frequenza, gli effetti sarebbero devastanti, favorendo per altra via i partiti estremisti, a danno dei rapporti con gli stati satelliti ed i compatrioti non russi.
Al momento, l’isolamento internazionale sta spingendo la Russia a cercare l’appoggio cinese.   Al di la dei toni della propaganda,  per il momento Pechino sostiene Mosca nella misura in cui questo infastidisce gli americani e permette a loro di ottenere contratti particolarmente vantaggiosi.   Non sarà mai la Cina a sostenere i diritti di una provincia ribelle.    Tuttavia, perdurando la situazione, il quadro potrebbe cambiare ed, effettivamente, spingere Mosca ad un sodalizio strutturale con Pechino, ma non credo che sarebbe una buona cosa per i russi.    Da quando la spinta colonizzatrice russa si esaurì nella carneficina della guerra russo-giapponese, i rapporti fra i due giganti sono sempre stati  complessi ed evitare un massiccio ritorno di popolazione cinese nell’estremo oriente russo è sempre stata  una preoccupazione per Mosca.    Una partita probabilmente già persa.   Attualmente, le stime dei residenti cinesi in Russia variano fra 200.000 e 3.000.000 il che, di per se, la dice lunga sul livello di controllo che le autorità russe riescono ad avere.

L’unica cosa sicura è che si tratta di una cifra in aumento, mentre i rapporti commerciali transfrontalieri  sono diventati anche più intensi di quelli con il remoto ovest del paese.    Una combinazione a mio avviso molto pericolosa, dal momento che un mix di penetrazione commerciale ed insediamento di consistenti comunità Han è esattamente la strategia con cui Pachino sta portando avanti la colonizzazione dei suoi satelliti.    Finora, i robusti rapporti politici e commerciali con l’EU avevano dato a Mosca una sponda per contrastare il fenomeno, ma d’ora in poi?

Un altro aspetto importante è che, per sviluppare con la Cina rapporti commerciali tali da sostituire quelli attualmente in atto con l’Europa, sarebbe necessario costruire da zero una rete di migliaia di chilometri di strade, oleodotti e gasdotti, con tutte le infrastrutture annesse e connesse.   Uno sforzo titanico che non è affatto detto che in un futuro dominato dai ritorni decrescenti sempre più sfavorevoli sia possibile.   Inoltre, questo genere di infrastrutture sono particolarmente vulnerabili sia ad attacchi militari che terroristici, oltre che al vicende climatiche quali lo scioglimento del permafrost e gli incendi che, sempre di più, stanno cambiando la geografia della Siberia.

Infine, credo che occorra tenere presente che la Russia, fra alterne vicende, è una potenza in declino, come l’Europa.   La Cina è viceversa l’unica potenza emergente a livello mondiale, alla disperata ricerca di spazi geografici, politici e commerciali per espandersi, pena declinare rapidamente a sua volta.   I rapporti fra i due non possono essere simmetrici.

Al quarto posto fra i perdenti viene l’Europa nel suo complesso, ma forse meriterebbe un terzo posto ex-equo con la Russia.   Il gelo dei rapporti con Mosca ha infatti conseguenze economiche negative importanti, ma ancor peggio di ciò, sta favorendo l’emergere di un insolito sodalizio tra formazioni di estrema destra e di estrema sinistra, accomunate dall'odio per l’Europa e dall'amore per una Russia variamente idealizzata.


La cosa non sarebbe preoccupante, se non si intrecciasse strettamente con la politica attualmente perseguita dai principali governi europei.   Politica tendente a ridurre le istituzioni europee a dei semplici passa-carte delle decisioni dei governi  delle nazioni principali, oltre che comodo capro espiatorio cui accollare responsabilità che, perlopiù , sono dei governi nazionali stessi.     In pratica, la vicenda Ucraina si inserisce in un contesto  in cui i partiti europei di maggioranza stanno attaccando la costruzione europea, senza volerla però distruggere del tutto.  Mentre molte opposizioni vogliono decisamente liberarsene e nessuno pare più trovare valore alcuno nella più innovativa iniziativa politica del XX secolo.    In questo quadro,  la fiammata di popolarità di cui Putin sta godendo  sia fra la destra che fra la sinistra europee potrebbe avere conseguenze molto gravi per tutti noi.

Fra i parziali vincitori, per ora, penso che si possano annoverare gli USA, la cui presa sul vecchio continente risulta rafforzata e, soprattutto,  la Cina.   Come ho accennato, per il momento questa sta facendo ottimi affari, ma in una prospettiva di medio periodo ha buone possibilità di satellitizzare lo storico avversario.   Una prospettiva estremamente preoccupante, considerando che una Cina capace di accedere liberamente alle residue risorse russe ed in grado di utilizzare il suo tuttora immenso potenziale militare diventerebbe un avversario potenzialmente in grado di imporre la sua egemonia a buona parte del pianeta.

Fin qui lo stato delle cose, ma quali le prospettive?   Molti vagheggiano un ritorno alla Guerra Fredda che, a quanto pare, ha molti nostalgici su entrambi i fronti della barricata.   Ma i tempi sono cambiati e con essi le prospettive.    Per capire quanto, suggerisco di considerare che, piaccia o non piaccia, il peso geo-politico di un paese è molto approssimativamente correlato con il suo potenziale industriale-militare.   Quindi, sempre molto approssimativamente, con la quantità di energia che riesce ad utilizzare e dissipare.    (I grafici sono estratti da un post di Paul Chefurka, il quale, a sua volta, li ha ricavati dai dati pubblicati dalla BP.   Il dato relativo alla Russia nel 1970 manca nell'originale e lo ho estrapolato molto indicativamente dai dati relativi alla Russia del 1990, data alla quale la produzione industriale russa era circa la metà di quella sovietica di 20 anni prima.)  

Dunque si può molto sommariamente arguire che nel 1970 la dissipazione di energia in USSR fosse poco superiore  a quella EU.   Circa la metà della somma USA+EU, ma con un potenziale militare pari (o forse superiore) per la molto maggiore percentuale di risorse che i sovietici devolvevano alle forze armate.   In ogni caso, la Cina era un nanerottolo termodinamico, di taglia addirittura inferiore a quella del Giappone e della sola Germania.


Si voglia confrontare la situazione nel 2013.


Il nanerottolo oggi è la Russia, mentre USA ed EU sono entrambe state surclassate dalla Cina, che non nasconde più le sue ambizioni imperiali su buona parte dell’Asia e dell’Africa.    Si noti anche che nel 1970 la maggior parte dei “magnifici 7” erano europei, mentre oggi sono asiatici e che il cosiddetto club dei “BRICS” è composto da una super potenza (la Cina) e da quattro "mezze cartucce” che, tutti insieme, non arrivano alla metà del “dragone”.    È ovvio che un eventuale sodalizio fra loro sarebbe, di fatto, il riconoscimento di un’egemonia cinese sugli altri stati, analogamente a quanto è avvenuto fra gli USA ed gli altri paesi occidentali.

Tornando ad un’ipotetica guerra fredda 2, potrebbe accadere se il mondo tornasse a dividersi in due blocchi di potenza industriale e militare circa equivalenti, cosicché nessuno dei due osi attaccare l’altro direttamente.   Allo stato attuale delle cose sembrerebbe possibile solamente se le due parti fossero USA +EU da un lato e Cina dall'altro.   Un “grande gioco” in cui  La Russia avrebbe delle buone opportunità facendo del cerchiobottismo fra i due schieramenti.   Per quanto industrialmente drasticamente ridimensionata, la Russia è infatti ancora una potenza militare di primo piano e dispone di risorse rilevanti.   Entrambi gli ipotetici schieramenti avrebbero quindi interesse a coltivarne l’”amicizia”.    Viceversa, se la scelta fosse  quella di attaccarsi stabilmente al carretto cinese, credo che la Russia finirebbe con il diventare, in buona sostanza, una colonia di Pechino.    Una specie di contrappasso storico, a 100 anni circa di distanza.

Ma non credo che questo sia uno scenario realistico, perlomeno non nell'immediato futuro.   Semplicemente perché la reciproca dipendenza economica tra tutte le parti in causa è troppo elevata affinché uno dei giocatori si possa permettere di buttare all'aria le carte.   Insomma, fra i tanti svantaggi della globalizzazione, ci sarebbe anche un vantaggio importante: il fatto di rendere praticamente impossibile una guerra mondiale.

Questo finché rimane in piedi il "Business As Usual".    Nonappena le curve dell’economia e della disponibilità energetica globali saranno abbassate in misura sufficiente, il sistema comincerà a disgregarsi, presumibilmente a partire dei livelli di complessità maggiori, per riorganizzarsi in sistemi  progressivamente più piccoli e meno dissipativi.

Il livello maggiore in assoluto è ovviamente quello globale, che già mostra segni evidenti di senescenza.    Subito dopo vengono i mega-stati o meta-stati: USA, Russia, EU, India e Cina.   Di questi, la Russia ha già subito un primo round di disgregazione e sembra quasi matura per un secondo.   India, Europa ed USA si contendono il posto di prossimo candidato ad un analogo destino, forse anche prima della Russia.   Anche la Cina non è poi quel monolite assoluto che cerca di sembrare, ma non c’è dubbio che la triade partito-esercito-polizia abbia per ora la situazione in pugno.   Finché questa triade non vacillerà, la Cina non si sfascerà.   Sembra quindi che un periodo di egemonia cinese su buona parte del mondo sia oramai ineluttabile.   Salvo che gli ci vorrebbero almeno altri 20 anni per arrivarci e probabilmente non ce li ha.    Personalmente, vedo infatti due grossi ostacoli verso l’affermazione di un “Impero Giallo Mondiale”.

Il primo è che in un mondo in cui la crescita economica è oramai da tempo un gioco a somma negativa, la crescita della Cina può avvenire solamente a spese degli altri paesi del mondo, soprattutto di USA e UE  (esattamente come è avvenuto nei 20 anni scorsi).   Ma abbiamo visto che il deterioramento delle economie occidentali danneggia anche quella cinese.   Dunque se la Cina vince troppo, rischia di andare a rotoli.

La seconda è che, se davvero l’evoluzione del sistema globale procederà come previsto, il collasso avverrà prima che la Cina abbia potuto consolidare il suo impero.   O , perlomeno, questo sarà di assai breve durata.
L’aspetto negativo è che, collassando il sistema globale, tutti i giocatori si troveranno ridimensionati, ma anche meno interdipendenti.  Di conseguenza, le probabilità di un conflitto ad elevata intensità aumenteranno considerevolmente.  Anche perché attaccare i paesi vicini potrebbe diventare la disperata alternativa allo scoppio di guerre civili.   In parecchi paesi, fra cui Russia ed USA, si direbbe che siamo già vicini a questo limite.

Dunque, per tornare al conflitto ucraino, se tutti i diretti interessati hanno già perso, ancor più sarà quello che perderanno se, come pare che vogliano fare, continueranno sulla strada attuale.   Trovare un ragionevole compromesso e saldare una coalizione anti-cinese  sarebbe, a mio avviso, l’unica ipotesi ragionevole tanto per la Russia, quanto per EU ed USA.   Questo non impedirebbe la loro disintegrazione, ma potrebbe permettergli di guadagnare tempo e di limitare i danni.

Ma non mi pare che sia questo l’orientamento in nessuna delle capitali coinvolte.