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sabato 18 giugno 2022

La non-"transizione ecologica" mostrata da una breve sequenza di grafici significativi



Un post di Fabio Vomiero. Immagini senza testo



Popolazione mondiale


Consumi energetici globali


Emissioni globali di CO2 antropica


Concentrazione di CO2 atmosferica


Temperature globali


Anatomia comparata del cervello animale



martedì 7 aprile 2020

Coronavirus: Come siamo messi? I dati veri cominciano ad arrivare


Il coronavirus quello "vero" come appare al microscopio elettronico, non quello di colorato, quasi di peluche, che è la sua immagine comune (foto dal New Scientist) (ammesso che sia proprio quello: se avete mai usato un microscopio elettronico sapete quanto e facile prendere fischi per fisarmoniche)


Avrete notato anche voi che la maggior parte dei vostri interlocutori non riescono a ragionare in termini quantitativi. Un solo esempio: vi site mai sentiti dire che "non è vero che il virus uccide solo le persone anziane: sono morti anche dei giovani."? Provate a spiegare al vostro interlocutore come stanno le cose in termini statistici e vi accorgete con orrore che molta gente proprio non ha il concetto di "probabilità statistica" o perlomeno non riesce a gestirlo nel "modello del mondo" che ha in testa. Per non parlare di essere in grado di leggere un diagramma cartesiano -- anche qui è facile accorgersi con orrore che tantissimi non ci riescono. Figuriamoci a parlargli di modelli epidemiologici

E' quello che succede anche sui media: ogni giorno ci dicono il numero dei morti e, se va bene, lo comparano a quello del giorno prima. Non viene mai comparato alla tendenza, e neppure inquadrato con i dati storici. Il risultato è che molta gente è terrorizzata: non riescono a valutare l'impatto reale dell'epidemia e si sono convinti che moriremo tutti. Altri invece si sono convinti dell'opposto, ovvero che l'epidemia è una bufala messa in giro dai poteri forti per imbrogliarci.

Tuttavia, a parte l'ignoranza diffusa e il complottismo imperante, esiste anche una realtà. Vediamo allora di quantificare un po' la situazione. Come tutti sapete, i dati sulla diffusione dell'epidemia sono molto incerti per tante ragioni, però, ci sono dei dati che non sono inficiati da fattori umani: i morti non si possono nascondere in cantina. Contare il numero totale dei decessi di quest'anno e poi confrontarli on quelli degli anni passati ci da un buon modo valutare il dnno che il coronavirus ci sta facendo. Va fatto con un po' di attenzione, altrimenti si finisce per fare l'errore che ha fatto il sito "Disquisendo" che ha sostenuto che l'epidemia non esisteva. L'approccio era giusto, erano i dati che erano sbagliati.

Quindi, come per tutte le cose, bisogna lavorare sui dati giusti e valutarli criticamente. Qui, però c'è il problema che le tabelle ISTAT con i dati di mortalità nazionali questi dati si fermano per ora al Novembre 2019. Dovremo aspettare qualche mese per avere dati certi, ma questo non vuol dire che non si possa già fare qualche stima.

Da quello che sono riuscito a trovare sul Web, ci sono tre sorgenti di dati aggiornati utilizzabili per una valutazione comparativa della mortalità. 1) ISTAT, 2) Euromomo e 3) Ministero della Salute. Anche il sito dell'istituto superiore di sanità (ISS) fornisce molti dati statistici, ma non ne ho trovati sulla mortalità comparata. Allora, vediamo cosa abbiamo.


 Per cominciare, un inquadramento generale da ISTAT per mettere le cose in prospettiva


Vedete come in Italia muoiono oggi circa 640.000 persone all'anno. Non solo, ma la mortalità aumenta gradualmente. Dal 2004 a oggi, è aumentata a una media di circa 7000 decessi in più ogni anno, un aumento quasi costante di più dell'1% all'anno. Oggi muoiono quasi 100.000 persone in più rispetto a 15anni fa. E' probabilmente il risultato della quota di anziani della popolazione che si avviano a concludere il loro percorso terreno. In più, è possibile che ci siano fattori come l'inquinamento, le ondate di calore, la dieta di bassa qualità che fanno i loro danni. Notate anche le oscillazioni nei dati: nel 2015 ci sono stati quasi 50.000 decessi in più del 2014, e nessuno sa esattamente perché. Fra le altre cose, notate la "forbice" fra nati e morti: è un deficit di 200.000 persone all'anno che continua ad allargarsi -- ma non entriamo in questo argomento.

Adesso vediamo cosa possiamo dire dell'effetto dell'epidemia sulla mortalità


ISTAT: comiciamo dai dati che ha pubblicato ISTAT a proposito di un campione di circa 1000 comuni Italiani, aggiornati al 1 Aprile 2020. Ecco qua i dati: anno e numero di morti

  • 2015: 34339
  • 2016: 30411
  • 2017: 35018
  • 2018: 33520
  • 2019: 33575
  • 2020: 40244
Sono dati interessanti ma non sono utili per una valutazione quantitativa. Non tanto per il campione statistico limitato, quanto per il fatto che ISTAT ha scelto di considerare solo quei comuni dove c'era stato un aumento di mortalità di almeno il 20% rispetto agli anni precedenti. Evidentemente, erano interessati a valutare l'impatto a livello locale. E, in effetti, certi comuni sono stati pesantemente colpiti con aumenti di mortalità anche di un fattore 3. Ma non possiamo estrapolare questi dati a livello nazionale e nemmeno regionale. Ci ha provato Vision ma, onestamente, mi sembra che abbiano sparato a caso. Limitiamoci a dire che questi dati dimostrano che l'epidemia ha fatto grossi danni in certe zone.

Euromomo. Il nome orribile vuol dire semplicemente "European Mortality Monitoring." Loro hanno dei dati abbastanza generali, anche se i grafici che forniscono sono abbastanza orribili anche quelli. Ecco qua il risultato più significativo (è quasi illeggibile, lo so, ma è così che loro lo mostrano). E' la mortalità settimanale in Italia per tutte le regioni e per tutte le classi di età.


Allora, sull'asse Y c'è un "indice di mortalità", su quello X ci sono gli anni. Parte da Maggio 2016 e arriva a comprendere la 13 settimana del 2020, ovvero fino al 31 Marzo. I dati sono "aggiustati" per tener conto del ritardo nella trasmissione dei dati, ma sembra che questo sia un lavoro fatto da professionisti e mi fiderei abbastanza. Vedete che c'è in effetti un aumento della mortalità che possiamo ragionevolmente attribuire al coronavirus. Notate però che la mortalità non è peggiore di quella del gennaio del 2017 (il picco nella parte sinistra nella curva) causata da una combinazione di freddo e influenza. A quell'epoca ci furono circa 20.000 decessi in più rispetto alla media e nessuno ci fece molto caso. Notate anche che il la curva dei decessi sembra aver passato il massimo e cominciare a calare, il che sembrerebbe in accordo con altri dati che indicano che abbiamo passato il "picco" dell'epidemia. Estrapolando, sembrerebbe poter dire che anche il coronavirus causera circa 20.000 decessi aggiuntivi, in accordo con altre analisi.

Ministero della Salute. Qui credo che ci siano i dati più interessanti, riportati sul sito del Dipartimento della Salute del Lazio. Ci sono dati comparativi della mortalità su base nazionale di quest'anno comparata con una media dei 5 anni precedenti. Attenzione che questi NON sono dati completi, ma si riferiscono a un campione di 19 città: (Aosta, Bolzano, Trento, Trieste, Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia, Bologna, Genova, Perugia, Civitavecchia, Roma, Frosinone, Bari, Potenza, Messina, Palermo). Notare che la maggioranza sono città del Nord, il campione è sbilanciato, ma è quello che abbiamo.


Qui vediamo che l'epidemia ha colpito duro al Nord, con quasi il raddoppio della mortalità rispetto alla media giornaliera attesa. Al Centro-Sud, invece, l'aumento è appena percettibile, forse nemmeno statisticamente significativo. Non sappiamo esattamente perché questa disparità. Potrebbe darsi che l'epidemia non si è diffusa al Sud perché è stata bloccata dal lockdown. Ma potrebbe anche essere per via del fatto che la popolazione al Nord è mediamente più anziana che al Sud. Oppure per fattori come il clima e l'inquinamento. Il legame fra inquinamento e epidemia non è stato dimostrato con certezza ma è perlomeno un legittimo sospetto.


Per riassumere


I dati di mortalità comparata indicano che l'epidemia di coronavirus non è assolutamente una bufala: esiste e ha colpito abbastanza duramente il Nord Italia. Non possiamo ancora usare questi dati per stimare quale potrebbe essere il numero totale di vittime, ma dai dati Euromomo e altri sembrerebbe chiaro che abbiamo "scavallato" il periodo peggiore. Le varie proiezioni si assestano sulle 15.000 -20.000 vittime, qualcuno dice 30.000 -- alla fine dell'anno potrebbero essere di più, ma non di ordini di grandezza. Non sono poche, ma sono comparabili alla variabilità statistica osservata nel passato per la mortalità della popolazione italiana.

In sostanza, siamo di fronte a un problema serio, ma non a quello che in inglese si chiama "existential threat" ("minaccia esistenziale"). Ovvero, non è a rischio la sopravvivenza fisica della popolazione italiana e non è nemmeno possibile che il danno diretto da coronavirus metta a repentaglio la capacità del paese di gestire la sua economia e le sue infrastrutture.

Presto avremo dati migliori, ma quello che sappiamo potrebbe essere già sufficiente per pensare al futuro. Si parla già di cominciare a sbloccarre il paese e, in effetti, va assolutamente fatto, altrimenti andiamo in rovina. (e non è detto che non ci andremo: la sopravvivenza economica del "sistema italia" potrebbe essere già stata compromessa in modo irrimediabile)

Purtroppo, come dicevo all'inizio, il problema è la grave carenza culturale del dibattito. Non solo non si riesce a valutare seriamente il problema, ma nessuno sembra riuscire a pensare ad altro metodo per risolverlo che a trovare un trucco per stampare soldi in quantità e distribuirli a pioggia ai propri amici per ricominciare a fare le stesse cose che facevamo prima, incluso inquinare e cementificare ovunque. Ma così stanno le cose. Ho l'impressione che, come sempre, cammineremo verso il futuro a testa bassa e portando occhiali molto scuri.




Nota: qualcuno mi ha fatto notare che questa analisi non tiene conto della diminuzione degli incidenti stradali come effetto del blocco. Vero, ma l'effetto è molto piccolo. In Italia i morti per incidenti stradali sono poco più di 3000 all'anno, ovvero meno di 10 al giorno. Anche assumendo che si siano ridotti a zero col blocco, i numeri dell'analisi non cambiano.


lunedì 1 agosto 2016

Quanto effetto serra genera un bambino in più?



Da“OSU”.Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)
31/07/2009


CORVALLIS, Oregon. – Alcune persone che sono serie riguardo al voler ridurre la propria “impronta di carbonio” sulla Terra hanno a disposizione una scelta che potrebbe fruttare un beneficio a lungo termine – avere un figlio di meno.

Uno studio degli statistici dell'Università di Stato dell'Oregon (USO) ha concluso che negli Stati Uniti, l'impatto e l'eredità di carbonio e gas serra di un figlio in più è quasi 20 volte più importante di alcune delle altre pratiche ambientali sensibili che le persone potrebbero impiegare per tutta la loro vita – cose come guidare una macchina che consuma poco, riciclare, o usare elettrodomestici energeticamente efficienti e lampadine a basso consumo.
La ricerca chiarisce anche che gli impatti potenziali del carbonio variano drammaticamente di paese in paese. L'impatto a lungo termine del carbonio di un bambino nato negli Stati uniti – insieme a tutti i suoi discendenti – è più di 160 colte l'impatto di un bambino nato in Bangladesh.
Nelle discussioni sul cambiamento climatico tendiamo a concentrarci sulle emissioni di carbonio individuali durante il suo ciclo di vita”, ha detto Paul Murtaugh, un professore di statistica della USO. “Quelli sono problemi importanti ed è essenziale che debbano essere considerate. Ma una sfida aggiuntiva di fronte a noi è la continua crescita della popolazione e l'aumento del consumo globale di risorse”.
In questo dibattito è stata prestata pochissima attenzione all'enorme importanza della scelta riproduttiva, ha detto Murtaugh said. Quando un individuo mette al mondo un bambino – e quel bambino potenzialmente metterà al mondo altri discendenti in futuro – l'effetto sull'ambiente può essere di molte volte l'impatto prodotto da una persona durante il proprio ciclo di vita.
Nelle condizioni attuali degli Stati uniti, per esempio, ogni bambino alla fine aggiunge 9.441 tonnellate di biossido di carbonio all'eredità di carbonio di un genitore medio – circa 5,7 volte le emissioni di un ciclo di vita di cui è responsabile, in media, una persona.

Ed anche se alcune nazioni in via di sviluppo hanno popolazioni molto maggiori e i tassi di crescita della popolazione maggiori di quelli degli Stati Uniti, il loro impatto complessivo sull'equazione globale viene spesso ridotto da aspettative di vita minori e da minore consumo. L'impatto a lungo termine di un bambino nato in una famiglia in Cina è meno di un quinto dell'impatto di un bambino nato negli Stati Uniti, ha scoperto lo studio.
Man mano che il mondo in via di sviluppo aumenta la sua popolazione e i suoi livelli di consumo, questo potrebbe cambiare.
La Cina e l'India ora stanno aumentando costantemente le loro emissioni di carbonio e lo sviluppo industriale ed altre nazioni in via di sviluppo potrebbero a loro volta continuare ad aumentare alla ricerca di standard di vita più alti”, ha detto Murtaugh.
Lo studio ha esaminato diversi scenari di cambiamento dei tassi di emissione, il più aggressivo dei quali è stato di una riduzione del 85% delle emissioni globali di carbonio da adesso al 2100. Ma le emissioni in Africa, che comprendono 34 dei 50 paesi meno sviluppati del mondo, stanno già più del doppio di quel livello.

I ricercatori chiariscono che non stanno sostenendo controlli governativi o l'intervento sui problemi della popolazione, ma dicono che vogliono semplicemente rendere le persone consapevoli delle conseguenze ambientali delle loro scelte riproduttive.
Molte persone sono inconsapevoli del potere della crescita esponenziale della popolazione”, ha detto Murtaugh. “La crescita futura amplifica le conseguenze delle scelte riproduttive dei oggi delle persone, allo stesso modo in cui l'interesse composto amplifica un saldo bancario”.
Murtaugh ha osservato che i loro calcoli sono rilevanti per altri impatti ambientali oltre alle emissioni di carbonio – per esempio, il consumo di acqua potabile, che molti credono stia già scarseggiando.


venerdì 4 marzo 2016

Malthus aveva ragione. E adesso?

Da “Montreal Gazette”. Traduzione di MR (via Emilio Martines)






Thomas Robert Malthus ha scritto, in questo Saggio sul Principio di Popolazione che, se lasciata senza controllo, la crescita della popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti. MONTREAL GAZETTE FILES


Di Madeline Weld

Sabato era il 250° anniversario della nascita di Thomas Robert Malthus. Vorrei augurargli molti ritorni felici. E lui continua a tornare, non è così?. Nonostante tutti quelli che dicono che abbia sbagliato tutto o sia fuori moda. Il suo saggio sul Principio di Popolazione sosteneva che, se lasciata senza controllo, la popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti: “Il potere della popolazione e infinitamente più grande del potere della Terra di produrre sussistenza per l'uomo”. Ha previsto carestia, malattie e molta sofferenza, specialmente fra i più poveri. Ma oltre a queste “constatazioni negative”, ha anche riconosciuto “constatazioni preventive” come limitare i tassi di nascite e matrimoni ritardati. Come ecclesiastico, sosteneva “il casto posticipo del matrimonio”.

domenica 31 gennaio 2016

400 anni di esplosione demografica

Da “The Conversation”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Di James Cridland

Per quasi tutti i 200.000 anni di storia della nostra specie, la relazione dell'uomo con la Terra non è stata diversa da quella di qualsiasi altro animale. Tutta la loro energia veniva fornita direttamente dal Sole. La luce del Sole catturata dalle piante usando la fotosintesi veniva convertita in cibo e combustibile. Mangiavano radici, frutti e cereali (ed animali che mangiavano a loro volta radici, frutti e cereali) per fornire ai loro corpi energia. Bruciavano legna per tenersi al caldo e grasso per far luce di notte.

Era una strategia di successo per la sopravvivenza e in decine di migliaia di anni la popolazione umana si è diffusa su sei continenti. Tuttavia, parte di questo ciclo solare naturale, c'era un limite al numero di persone che il loro stile di vita poteva sostenere e il numero totale di abitanti fluttuava al di sotto dei 500 milioni e dipendeva da malattie, guerre e fornitura di cibo.

Poi, 350 anni fa, tutto è cambiato. Abbiamo iniziato a integrare il nostro fabbisogno energetico con carbone e petrolio (gli esseri umani hanno usato il carbone dalla preistoria, ma non su larga scala). Si trattava ancora di energia proveniente dai raggi del Sole, ma in questo caso raggi vecchi di milioni di anni. In meno di due secoli la popolazione umana è esplosa, raddoppiando in dimensione fino ad 1 miliardo di persone. Da allora ha continuato a crescere, ma il tasso di cambiamento è aumentato significativamente. Ci sono voluti 100.000 anni per raggiungere il primo miliardo di persone. Oggi stiamo aggiungendo un miliardo ulteriore ogni 12 anni. Il risultato è un enorme pressione su tutte le risorse naturali. Negli ultimi due decenni assisteremo ad aumenti enormi della domanda di energia, cibo ed acqua – una tempesta perfetta.

mercoledì 23 dicembre 2015

Italia 2015: l'impennata nel tasso di mortalità mostra che la crescita economica non è la soluzione a tutti i problemi.



Ha destato un certo interesse sulla stampa un articolo di Giancarlo Blangiardo apparso su "Neodemos" il 22 Dicembre 2015. intitolato, "68 mila morti in più nel 2015." Molti hanno trovato la cosa sorprendente e lo stesso Blangiardo specula che possa essere dovuto al degrado delle strutture sanitarie dovuto alla carenza di risorse.

L'articolo di Blangiardo è basato sui dati riportati nella figura qui sopra (presa dall'articolo stesso). Come si vede, i dati sono ancora incerti ma, nel complesso, la tendenza è abbastanza chiara.

In particolare, il picco delle morti a Luglio, potrebbe essere correlato all'ondata di calore di questa estate, molto più calda di quella dell'anno precedente. Che le ondate di calore abbiano un effetto negativo sulla salute, specialmente degli anziani, è ben noto, e su questo non ci sarebbe niente di sorprendente. Lo stesso Blangiardo nota come l'aumentata mortalità sia associata alla fascia più anziana della popolazione

Ma come si inserisce questo risultato nelle tendenze un po' più a lungo termine? Ho trovato questi dati da "Index Mundi," a loro volta basati sul "factbook" della CIA.
 

La prima cosa che si nota in questo grafico è il crollo del tasso di mortalità nel 2011. Non c'è stato nessun evento particolare che lo possa giustificare, per cui credo che sia soltanto un artifatto dovuto al censimento del 2011 che ha causato un aggiustamento dei dati. In pratica, il tasso di mortalità è stato in continuo aumento dal 2000 al 2012, di circa l' 1% -2% all'anno.  Questo è in gran parte un risultato naturale dell'invecchiamento della popolazione.

Ne consegue che l'aumento di circa l'11% nella mortalità nel 2015, riportato da Blangiardo, è effettivamente un'impennata sorprendente; messo sul grafico, il dato va quasi fuori scala. E' un risultato che va preso con cautela, essendo i dati ancora provvisori. Ma certamente è una cosa preoccupante che va ben oltre a un semplice effetto del graduale invecchiamento della popolazione.

Ci sono vari fattori che potrebbero essere in gioco ma, sicuramente, l'impoverimento della popolazione italiana e uno di essi, con il correlato degrado delle strutture sanitarie. Poi, la calura estiva, e forse anche l'inquinamento in crescita, hanno messo qualcosa in più. E, come ultimo fattore, anche l'invecchiamento generale della popolazione. Il risultato è quello che vediamo. E probabile che non sarà l'ultimo di questi picchi di mortalità.

Insomma, situazione difficile in Italia e, a questo punto, la retorica del governo sul "meglio che sta arrivando" rischia di fare ulteriori danni. Questo per non parlare dello slogan di qualche anno fa "viva l'Italia viva" che, visto in luce degli ultimi dati sulla mortalità, suona decisamente male.

Tutto il cosiddetto "meglio" che arriva dovrebbe essere il risultato della crescita economica; cercata a tutti i costi senza troppo preoccuparsi dell'effetto sul clima e sull'inquinamento. Quest'anno, qualche risultato in termini di crescita (forse) si è visto, ma se è stato ottenuto a spese della salute dei cittadini, non ne valeva certamente la pena



venerdì 18 settembre 2015

Gli esseri umani si trovano di fronte all'estinzione se la distruzione delle piante continua: 'Le leggi della termodinamica non hanno pietà'

Da “International Business Times”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Di Hannah Osborne




Una sezione di pascolo bruciato vista in un'area deforestata dell'Amazzonia nello stato di Maranhao (Mario Tama/Getty Images)

Uno studio ha scoperto che gli esseri umani o si estingueranno o saranno costretti a tornare a stili di vita da cacciatori-raccoglitori se continuiamo a distruggere la vita vegetale della Terra.
John Schramski, dell'Università della Georgia, ha detto che il nostro pianeta diventerà sempre meno ospitale in conseguenza della perdita di piante e che, se non ci estinguiamo, i nostri stili di vita torneranno quelli dei nostri antenati di 12.000 anni fa. In uno studio pubblicato sulla rivista PNAS, Schramski e colleghi hanno usato la termodinamica (la relazione fra calore ed energia) per guardare l'energia immagazzinata nelle piante e il tasso al quale viene distrutta per stabilire le conseguenze della distruzione continua. La Terra è stata un panorama desolato per miliardi di anni, finché gli organismi si sono evoluti fino a trasformare la luce solare in energia. Dopo di che c'è stata una esplosione di vita vegetale ed animale. I ricercatori stimano che il pianeta contenesse circa 1.000 miliardi di tonnellate di carbonio nella vita vegetale 2.000 anni fa e che da allora gli esseri umani hanno ridotto quella quantità di circa la metà, distruggendola per fare spazio a città e agricoltura. Si pensa che abbiamo distrutto circa il 10% di questa banca di carbonio negli ultimi 100 anni.

martedì 1 settembre 2015

Come i miglioramenti tecnologici aumentano la crescita della popolazione

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR



Ogni sviluppo tecnologico significativo della storia umana sembra aver causato almeno un raddoppio del tasso di crescita. Secondo la mia interpretazione del recente database della popolazione HYDE, ci sono stati cinque salti del genere negli ultimi 80.000 anni, più o meno. Questi salti sono facilmente correlabili con cambiamenti del livello generale di tecnologia, come mostrato nel grafico. Ipotizzo che l'Homo Sapiens abbia cominciato il nostro ultimo periodo dopo il collo di bottiglia di Toba, a partire da 77.000 anni fa, con 10.000 individui. Durante i 65.000 dalla catastrofe di Toba fino allo sviluppo dell'agricoltura intorno al 10.000 AC, la popolazione è cresciuta da 10.000 a circa 2 milioni, ad un tasso medio basso dello 0,01%all'anno o leggermente meno.

giovedì 27 agosto 2015

Come ridurre le dimensioni dell'economia senza distruggerla: un piano in dieci punti

Da15/15/15”. Traduzione di MR (via Antonio Turiel)

Di Richard Heinberg

L'economia umana attualmente è troppo grande per essere sostenibile. Lo sappiamo perché il Global Footprint Network, che metodicamente monitorizza i dati, ci informa che l'umanità attualmente sta usando risorse equivalenti ad una Terra e mezzo. Possiamo usare temporaneamente le risorse più rapidamente di quanto la Terra le rigeneri unicamente prendendole in prestito alla produttività futura del pianeta, lasciando di meno per i nostri discendenti. Ma non possiamo farlo molto a lungo. In un modo o nell'altro, l'economia (e qui stiamo parlando principalmente delle economie dei paesi industrializzati) deve ridursi fino a combaciare con ciò che la Terra può provvedere a lungo termine. Dire “in un modo o nell'altro” implica che questo processo può avvenire tanto in forma volontaria come involontaria. Vale a dire, se non restringiamo l'economia deliberatamente, si contrarrà da sola una volta raggiunti i limiti non negoziabili.


sabato 22 agosto 2015

Argomento cruciale: la mandria umana che si sta mangiando il pianeta

Da  “Mercury”.  Traduzione  di  MR  (via  Luca  Pardi)


L'attuale crescita della popolazione sulla Terra è insostenibile. Immagine: NASA

Per decine di migliaia di anni la popolazione della Terra è stata stazionaria a circa mezzo miliardo di persone di cui 10.000 in Tasmania. Era la capacità di carico naturale.

Dopo la Rivoluzione Agricola di 10.000 anni fa, la mandria umana globale è cresciuta rapidamente ad un miliardo nel 1800 (di cui sempre 10.000 in Tasmania). Con la Rivoluzione Industriale è raddoppiata a due miliardi nel 1900 (in Tasmania 170.000) e, nonostante due guerre mondiali ed una pandemia di influenza, ha raggiunto i 2,7 miliardi quando sono nato nel 1944 (in Tasmania 248.000). Quindi, ancora più impensabile, nel 1960 il mondo aveva tre miliardi di persone e nel 2000 quel numero è raddoppiato – 12 volte la naturale capacità di carico. Ora, nel 2015, siamo 7,3 miliardi (in Tasmania 517.000) e , mentre agli attuali tassi di crescita la popolazione globale raggiungerebbe i 27 miliardi nel 2100, le Nazioni Unite calcolano che si riduca a 12 miliardi o 24 volte la naturale capacità di carico della Terra. L'acclamato cosmologo e fisico Stephen Hawking ha calcolato che “se se continuasse a questo ritmo, con la popolazione che raddoppia ogni 40 anni, nel 2600 ci ritroveremmo letteralmente in piedi spalla a spalla”.

Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra – cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando.

Il fisico Stephen Hawking. Foto: AFP
Il corollario più distruttivo della popolazione è il consumo. Siccome i più poveri vogliono mettersi in pari coi più ricchi, i più ricchi non condivideranno e quasi tutti vogliono di più, il consumo di risorse terrestri sta crescendo anche più rapidamente del numero di abitanti. Siamo in un disastro. Come sappiamo tutti, la biosfera, o mantello vivente del pianeta, viene rapidamente distrutto dalla più grande mandria di mammiferi ci vi abbia mai pascolato. Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra, cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando. Ogni giorno ci sono meno foreste, meno bacini di pesca (il 90% è andato o sta per andarsene) e meno barriere coralline, meno fiumi naturali, meno specie (l'attuale tasso di estinzione è 500 volte il tasso naturale e sta accelerando) e molta meno natura selvaggia che mai. Tre cose ci aiuteranno ad uscire da questa calamità che si sta sviluppando.

La prima è di assicurarsi che ogni ragazza e ragazzo sul pianeta vengano istruiti e venga dato loro accesso alla contraccezione, con incentivi ad avere meno figli. Questa priorità dipende dal secondo imperativo – che le persone ricche (e i paesi) condividano molto di più e finanzino quell'educazione i requisiti dei suoi operatori sanitari, alla svelta. Vale a dire noi. Gli australiani sono fra le persone più ricche che siano mai esistite. La terza cosa che si deve fare è mettere fine al dogma ridicolo della promozione della crescita dei consumi delle riserve finite di risorse della Terra. Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere. Il buon senso ordina una relazione sostenibile degli ecosistemi interconnessi dell'Homo Sapiens e del pianeta Terra, anche se quel futuro rimarrebbe ampiamente aperto all'indagine ed alla scoperta e alla crescente creatività umana. Per cogliere pienamente la promessa di vita sulla Terra, dobbiamo sostituire la spirale della crescita della popolazione e dei consumi con una miscela intelligente di auto-preservazione. Non si tratta di un'idea nuova – il moralista ed economista britannico Kenneth Boulding mezzo secolo fa osservava che “chiunque creda che la crescita esponenziale possa continuare per sempre in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”.

Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere.

La Tasmania è in una situazione vantaggiosa per dare l'esempio. Per esempio, i tasmaniani potrebbero ottenere più prontamente emissioni di gas serra negative e perdita zero di specie native, di ecosistemi (sia marini sia terrestri) e di bellezza selvaggia e spettacolare di quasi qualsiasi altra società sulla Terra. Allo steso tempo questi risultati farebbero aumentare il nostro lavoro più in prospettiva e la nostra storia economica più di successo – le industrie del turismo e dell'ospitalità che prosperano sulla base della nostra reputazione internazionale di uno stile di vita sicuro e verde con grandi quantità di cibo ed acqua, vita e natura selvaggia e bellezza incontaminati. In un mondo sempre più mobile diretto a più di otto miliardi di persone entro un decennio, la sicurezza e la naturalezza della Tasmania sono diventate il nostro bene economico più grande. Affollati e tormentati come sono in miliardi di persone, la Tasmania offre loro un'avventura solitaria nella natura per il corpo e un rilassamento per l'anima che non sono secondi a nessuno. Paradossalmente, più affolliamo l'isola, meno questa sarà attrattiva. Il nostro miglior obbiettivo deve essere una popolazione residente relativamente bassa e un grande flusso di visitatori.

Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita.

La politica del governo Hodgman di raddoppiare il tasso di crescita della popolazione della Tasmania nei prossimi 35 anni si inchina all'economia convenzionale della crescita. Comunque sia, i pianificatori dovrebbero piuttosto preoccuparsi del fatto che una politica del genere verrà prima o poi sommersa da migrazioni di massa globali dovute a cambiamento climatico, guerre ed altre imprevedibili calamità. Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita. E perché non rendere partecipe di quella politica uno stato d'oltremare finanziando, diciamo, l'incremento di educazione e salute nelle vicine Papua Nuova Guinea o Timor Est dove le popolazioni stanno esplodendo? La popolazione non è l'argomento preferito di nessuno. Con una eguale misura di istinto ed assurdità, non vogliamo parlarne. Tuttavia, che piaccia o no, la popolazione è un problema di tutti. Possiamo ringraziare il premier, perlomeno per aver sollevato di nuovo questo problema importante.




domenica 5 luglio 2015

Anche se tutti vivessero in un 'ecovillaggio', il mondo sarebbe comunque nei guai

Da “The conversation”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Siamo abituati a sentire che se tutti vivessero allo stesso modo dei nord americani o degli australiani ci servirebbero quattro o cinque pianeti Terra per sostenerci. Questo tipo di analisi è conosciuta come “impronta ecologica” e mostra che persino le cosiddette nazione europee “verdi”, coi loro approcci progressisti all'energia rinnovabile, all'efficienza energetica e al trasporto pubblico, richiederebbero più di tre pianeti. Come possiamo vivere secondo i mezzi del nostro pianeta? Se scaviamo seriamente in questa domanda diviene chiaro che quasi tutta la letteratura ambientale sottostima grossolanamente ciò che serve perché la nostra civiltà diventi sostenibile.

Solo le persone coraggiose dovrebbero continuare a leggere.

L'analisi della “impronta ecologica”

Per analizzare la domanda di come sarebbe “vivere di un pianeta”, rivolgiamoci a quello che probabilmente è il sistema di misurazione più di rilievo per il calcolo ambientale – l'analisi dell'impronta ecologica. Questo è stata sviluppato da Mathis Wackernagel e William Rees, poi all'Università della Columbia Britannica, ed ora è istituzionalizzato dal corpo scientifico, il Global Footprint Network, di cui Wackernagel è presidente. Questo metodo di calcolo ambientale cerca di misurare la quantità di terra produttiva e di acqua che una data popolazione ha a disposizione e poi valuta la domanda che la popolazione impone su quegli ecosistemi. Una società sostenibile è una che opera entro la capacità di carico degli ecosistemi da cui dipende.

Mentre questo modo di calcolare non è scevro da critiche – non è certo una scienza esatta – la cosa preoccupante è che molti dei suoi critici in realtà affermano che questo sottostimi l'impatto ambientale dell'umanità. Persino Wackernagel, co-creatore del concetto, è convinto che i numeri siano sottostimati. Secondo i dati più recenti del Global Footprint Network, l'umanità nel suo complesso è attualmente in overshoot (superamento), richiedendo una volta e mezzo la biocapacità del pianeta Terra. Man mano che la popolazione globale continua nella sua tendenza verso gli 11 miliardi di persone e mentre il feticcio della crescita continua a plasmare l'economia globale, la portate dell'overshoot aumenterà soltanto. Per ogni anno in cui questo stato di peggioramento dell'overshoot ecologico persiste, i fondamenti della nostra esistenza e di quella di altre specie, sono minacciati.

L'impronta di un ecovillaggio

Come ho osservato, i contorni fondamentali del degrado ambientale sono relativamente ben conosciuti. Quello che è molto meno conosciuto, tuttavia, è che anche gli ecovillaggi più di successo e che durano da più tempo del mondo devono ancora raggiungere una impronta ecologica “fair share” (giusta quota). Prendete l'Ecovillaggio di Findhorn in Scozia, per esempio, probabilmente l'ecovillaggio più famoso del mondo. Un ecovillaggio può essere ampiamente inteso come una “comunità intenzionale” che si forma con l'obbiettivo esplicito di vivere in modo più leggero sul pianeta. Fra le altre cose, la comunità di Findhorn ha adottato una dieta quasi esclusivamente vegetariana, produce energia rinnovabile e costruisce molte delle proprie case in fango e materiali riciclati.



Ecovillaggio di Findhorn in Scozia. Irenicrhonda/Flickr, CC BY-NC-ND

E' stata intrapresa un'analisi dell'impronta ecologica di questa comunità. E' stato scoperto che anche gli sforzi più impegnati di questo ecovillaggio lasciano ugualmente la comunità di Findhorn consumare risorse e produrre rifiuti ben al di là di quello che potrebbe essere sostenuto se tutti vivessero in questo modo. (Parte del problema è che la comunità tende a volare tanto spesso quanto un normale occidentale, aumentando la loro impronta altrimenti piccola). Messa diversamente, sulla base dei miei calcoli, se tutto il mondo diventasse come uno dei nostri ecovillaggi più famosi, ci servirebbe ancora una volta e mezzo la biocapacità del pianeta Terra.

Soffermatevi su questo per un momento.

Non condivido questa conclusione per provocare disperazione, anche se ammetto che comunica la dimensione del nostro dilemma ambientale con disarmante chiarezza. Né la condivido per criticare gli sforzi nobili e necessari del movimento degli ecovillaggi, che sta chiaramente facendo molto di più degli altri per spingere le frontiere della pratica ambientale. Piuttosto, la condivido nella speranza di scuotere e svegliare il movimento ambientalista e l'opinione pubblica generale. Con gli occhi aperti, cominciamo dal riconoscere che armeggiare ai margini del capitalismo consumista è totalmente inadeguato. In un mondo pieno di sette miliardi di persone in aumento, una impronta ecologica “fair share” significa ridurre ad una piccola frazione di quelle che sono oggi. Un tale cambiamento fondamentale ai nostri stili di vita è incompatibile con una società orientata alla crescita. Alcuni potrebbero trovare questa posizione troppo “radicale” da digerire, ma sosterrei che questa posizione è meramente plasmata da un'onesta panoramica delle prove.

Come sarebbe lo stile di vita da “un pianeta”?

Anche dopo cinque o sei decenni di movimento ambientalista moderno, sembra che non abbiamo ancora un esempio di come prosperare entro la capacità di carico sostenibile del pianeta. Ciononostante, Proprio come i problemi fondamentali possono essere sufficientemente compresi, la natura di una risposta appropriata è a sua volta sufficientemente chiara, anche se la verità a volte è dura. Dobbiamo rapidamente transitare a sistemi di energia rinnovabile, riconoscendo che la fattibilità e l'accessibilità di questa transizione richiederà che consumiamo significativamente meno energia di quella alla quale siamo abituati nelle nazioni sviluppate. Meno energia significa meno produzione e meno consumo.

Dobbiamo coltivare biologicamente e localmente il nostro cibo e mangiare considerevolmente meno (o niente) carne. Dobbiamo andare più spesso in bicicletta e volare di meno, rammendare i nostri vestiti, ridurre radicalmente i nostri flussi di rifiuti e “riqualificare le periferie” creativamente per trasformare le nostre case e comunità in luoghi di produzione sostenibile, non di consumo insostenibile. Per fare questo, dobbiamo sfidare noi stessi ad andare oltre il movimento degli ecovillaggi ed analizzare una tonalità di verde della sostenibilità ancora più profonda. Fra le altre cose, questo significa vivere vite frugali, moderazione e sufficienza materiale. Pensiero impopolare, bisogna dirlo, dobbiamo anche avere meno figli, altrimenti la nostra specie crescerà verso una catastrofe. Ma l'azione personale non è sufficiente. Dobbiamo ristrutturare le nostre società per sostenere e promuovere questi stili di vita “più semplici”. Una tecnologia adeguata ci deve anche assistere nella transizione verso lo stile di vita di un solo pianeta. Alcuni contestano che la tecnologia ci permetterà di continuare a vivere allo stesso modo riducendo allo stesso tempo fortemente la nostra impronta.

Tuttavia, la portata della “dematerializzazione” richiesta per rendere i nostri stili di vita sostenibili è semplicemente troppo ampia. Così come migliorare l'efficienza, dobbiamo anche vivere in modo più semplice in senso materiale e ri-immaginare la buona vita al di là della cultura dei consumi. Innanzitutto, ciò che serve per vivere in di un pianeta è che le nazioni più ricche, compresa l'Australia, inizino un processo di “decrescita” di contrazione economica pianificata. Non sostengo che sia probabile o che io ho un progetto dettagliato di come questa debba accadere. Sostengo solo che, sulla base dell'analisi dell'impronta ecologica, la decrescita è il quadro di riferimento più logico per capire le implicazioni radicali di sostenibilità. La discesa dal consumismo e dalla crescita può essere prosperosa? Possiamo trasformare le nostre crisi sovrapposte in opportunità?

Sono queste le domande che definiscono il nostro tempo.

martedì 7 aprile 2015

Solo di meno funzionerà

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg



Quando non scrivo libri o saggi su temi ambientali, o quando non dormo o mangio, è probabile che mi troviate a suonare il violino. Questa è stata un'attività ossessiva per me da quando ero ragazzo e sembra che mi dia sempre più soddisfazione man mano che passa il tempo. Fare e suonare una piccola scatola di legno, un violino, è essenzialmente un'attività preindustriale: quasi tutte le sue parti provengono da fonti rinnovabili (legno, coda di cavallo, budella di pecora) e suonarlo non richiede né elettricità o benzina. Suonare il violino pertanto costituisce un hobby ecologicamente benigno, no?

Probabilmente lo era, un paio di secoli fa. Ora non tanto. Vedete, gran parte degli archi di violino sono fatti col pernambuco, un legno duro brasiliano che è a rischio perché con esso sono stati già fatti troppi archi. Anche l'ebano viene raccolto in modo eccessivo, viene usato per fare i tasti, i piroli per l'accordatura e parti degli archi. Alcuni elaborati archi di violino più vecchi sono persino decorati con gusci di tartaruga, avorio e ossi di balena. E mentre acero e pino (i legni principali con cui sono fatti i violini) non sono a rischio di estinzione, intere foreste vengono tagliate in Cina per soddisfare la fiorente domanda mondiale di strumenti per studenti. Le corde moderne (gran parte delle quali vengono fatte usando i derivati del petrolio) spesso vengono avvolte con argento o alluminio non rinnovabili e quasi nessuno cerca di riciclarle.

Capite, il problema reale dei violini è un problema di scala. Se ci fossero solo poche migliaia di violinisti nel mondo, fare e suonare violini avrebbe un impatto ambientale trascurabile. Ma moltiplicate queste attività per decine di milioni e i risultati sono la deforestazione e l'estinzione di specie. Sì, vengono fatti sforzi per fare suonare i violini in modo più sostenibile. Il Brasile protegge le sue foreste di pernambuco rimaste e molti costruttori di archi ricercano legno “raccolto in modo sostenibile”, I costruttori di archi stanno anche sostituendo l'avorio di elefante con ossa di manzo o materiali sintetici e le aste di molti archi ora sono fatti di fibra di carbonio. I gusci di tartaruga e ossa di balena sono off limits per i nuovi archi e i sono disponibili sostituti sintetici di questi materiali. Una società si offre di riciclare l'argento delle vecchie corde di violino. Tutto questo aiuta. Ma se il numero di violinisti continua ad aumentare, questi vantaggi verranno presto o tardi superati dalla pura e semplice dimensione della domanda di tutto, dalla colla alla colofonia. Suonare il violino è un'attività piuttosto specializzata e inusuale. Ma il problema fondamentale che ho sottolineato è endemico per praticamente qualsiasi attività umana, dal fare colazione la mattina al guardare la televisione prima di andare a letto.

Nella ricerca per rendere la società umana sostenibile, il problema della scala sorge assolutamente ovunque. Possiamo rendere una determinata attività più efficiente energeticamente e benigna (per esempio, possiamo aumentare il risparmio di carburante delle nostre auto), ma i miglioramenti tendono ad essere superati dai cambiamenti di scala (espansione economica e crescita della popolazione portano ad un aumento del numero delle auto sulle strade e delle dimensioni del veicolo medio, quindi ad un maggiore consumo totale di carburante). A quasi nessuno piace sentir parlare della scala nella nostra crisi ambientale globale. E' per questo che se la crescita è il nostro problema, la sola vera soluzione è quella di contrarre l'economia e ridurre la popolazione. Negli anni 70, molti ambientalisti raccomandavano esattamente quel rimedio, ma poi è arrivato il contraccolpo di Reagan – fenomeno politico che prometteva espansione economica infinita se solo avessimo permesso ai mercati di lavorare liberamente. Molti ambientalisti hanno ricalibrato il loro messaggio e così è nato il movimento “verde brillante”, che dichiarava che i miglioramenti di efficienza avrebbero permesso agli esseri umani di mangiare la loro torta (far crescere l'economia) e anche di conservarla (proteggere il pianeta in nome delle future generazioni). Eppure eccoci qua, decenni dopo l'eclissi dell'ambientalismo vecchio stile centrato sulla conservazione, e nonostante ogni sorta di programma di riciclaggio, regole ambientali e miglioramenti di efficienza energetica, l'ecosistema globale si sta avvicinando al collasso a velocità ancora maggiore.


La popolazione è cresciuta dai 4,4 miliardi del 1980 ai 7,1 miliardi nel 2013. Il consumo pro capite di energia è cresciuto da meno di 70 gigajoule a quasi 80 GJ all'anno. L'uso totale di energia è aumentata da 300 exajoule  a 550 EJ all'anno. Abbiamo usato tutta questa energia per estrarre materie prime (legno, pesce, minerali), per espandere la produzione di cibo (trasformando foreste in terreno coltivabile o pascolo, usando immense quantità di acqua dolce per l'irrigazione, mettendo fertilizzanti e pesticidi). E vediamo i risultati: gli oceani mondiali stanno morendo; le specie si stanno estinguendo mille volte di più del tasso naturale e il clima globale sta sbandando verso il caos man mano che processi di retroazione autorinforzanti (compresa la fusione polare e il rilascio di metano). Il movimento ambientalista ha risposto all'ultimo sviluppo adottando una concentrazione estrema sulla riduzione delle emissioni di carbonio. Cosa sicuramente comprensibile, visto che il riscaldamento globale costituisce la minaccia ecologica più pervasiva e potenzialmente mortale di tutta la storia umana. Ma i sostenitori della “crescita verde”, che tendono a dominare le discussioni sull'ambiente (a volte esplicitamente ma più spesso implicitamente), ci dicono che la soluzione è semplicemente cambiare fonte energetica e scambiarsi crediti di carbonio. Se facciamo queste cose facili possiamo continuare ad espandere la popolazione e il consumo pro capite senza preoccupazioni.

Nella realtà, cambiare completamente le nostre fonti di energia non sarà facile, come ho spiegato in un lungo saggio recente. E mentre il cambiamento climatico è la mega crisi dei nostri tempi, il carbonio non è la nostra sola nemesi. Se il riscaldamento globale minaccia di minare la civiltà, la stessa cosa fa il suolo, l'acqua potabile e l'esaurimento dei minerali. Questi potrebbero solo impiegare un po' più di tempo. La matematica della crescita composta porta ad assurdità (un essere umano ogni metro quadrato di superficie terrestre per il 2750 al nostro attuale tasso di aumento della popolazione) e alla tragedia. Se messi a confronto con questa semplice matematica, i verdi brillanti diranno: “Be' sì, alla fine ci sono limiti alla popolazione e alla crescita del consumo. Ma dobbiamo crescere ancora un po' adesso, per affrontare il problema della disuguaglianza economica e per assicurarci di non calpestare i diritti alla riproduzione delle persone. Dopo, una volta che tutti nel mondo hanno abbastanza, parleremo di stabilizzazione. Per ora, sostituzione ed efficienza si occuperanno dei nostri problemi ambientali”. Forse i verdi brillanti (o dovrei dire pseudo verdi?) hanno ragione nel dire che “meno” è un messaggio che non si vende. Ma offrire non soluzioni confortanti al nostro dilemma collettivo non ottiene nulla. Forse la prescrizione della decrescita è destinata a fallire nell'alterare la traiettoria complessiva della civiltà ed è troppo tardi per evitare una collisione grave coi limiti del pianeta. Perché, allora, continuare a parlare di quei limiti e sostenere l'autolimitazione umana? Riesco a pensare a due buone ragioni. La prima è che i limiti sono reali. Quando evitiamo di parlare di parlare di ciò che è reale semplicemente perché è scomodo farlo, segniamo il nostro destino. Io, per esempio, mi rifiuto di bere quella particolare partita di Kool-Aid. La seconda e più importante ragione è: se non possiamo evitare del tutto la collisione, facciamo almeno in modo di imparare da essa – e facciamolo più rapidamente possibile.

Tutte le società indigene tradizionali alla fine hanno imparato l'autolimitazione, se restavano abbastanza a lungo nello stesso luogo. Hanno scoperto, attraverso prove ed errori, che superare la capacità di carico della propria terra portava a conseguenze terribili. E' per questo che i popoli tradizionali appaiono a noi moderni come degli ecologisti intuitivi: essendo stati ripetutamente colpiti dall'esaurimento delle risorse, dalla distruzione dell'habitat, dalla sovrappopolazione e dalle conseguenti carestie, alla fine si sono resi conto che il solo modo di evitare di venire colpiti ancora era di rispettare i limiti della natura limitando la riproduzione e proteggendo le altre forme di vita. Noi abbiamo dimenticato quella lezione, perché la nostra civiltà è stata costruita da persone che hanno con successo conquistato, colonizzato e poi si sono spostate altrove per fare la stessa cosa di nuovo. E perché ci stiamo godendo il dono una tantum dei combustibili fossili che ci rendono potenti per fare cose che nessuna società precedenti si erano nemmeno sognate. Siamo giunti a credere nella nostra onnipotenza, eccezionalità ed invincibilità. Ma ora abbiamo finito i luoghi da conquistare e il meglio dei combustibili fossili è esaurito. Mentre ci scontriamo coi limiti della Terra, la prima risposta di riflesso di molte persone sarà quella di cercare di trovare qualcuno a cui dare la colpa. Il risultato potrebbero essere guerre e caccia alle streghe. Ma il conflitto sociale ed internazionale peggiorerà soltanto la nostra miseria. Una cosa che potrebbe aiutare sarebbe una conoscenza ampiamente diffusa del fatto che il nostro dilemma è in gran parte il risultato dell'aumento dei membri umani e dell'aumento degli appetiti rispetto alle risorse che stanno scomparendo e che solo l'autolimitazione cooperativa eviterà una lotta ad oltranza. Possiamo imparare, la storia lo mostra. Ma in questo caso dobbiamo imparare alla svelta. Quindi a portare faticosamente lo stesso vecchio messaggio in quanti più modi diversi mi è possibile, aggiornandolo man mano che gli eventi si dipanano. Ed io suono il mio violino – con un arco di fibra di carbonio.

mercoledì 25 marzo 2015

Cambiamento climatico e fame nel mondo: come ingigantire i problemi invece di risolverli

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Risultati di una ricerca del termined “fame nel mondo” (world hunger) usando Google Ngram Viewer. E' chiaro che la percezione della fame come un grande problema mondiale è relativamente recente: ha raggiunto il picco negli anni 80 ed è rimasta ben radicata nella consapevolezza collettiva di oggi. Il cambiamento climatico mostrerà la stessa traiettoria in futuro? Se lo farà, questo significa che il problema può essere risolto? O non renderemo i problemi più grandi nel tentativo di risolverli


Di certo, si sta accumulando uno slancio verso qualche tipo di azione nei riguardi del clima, anche se il negazionismo sta ancora opponendo una forte resistenza. Quindi, in un certo senso, le cose vanno bene, ma è abbastanza? Abbiamo ancora tempo per un'azione significativa contro il cambiamento climatico? E se ci impegneremo in tale azione, prenderemo le decisioni giuste?

Di solito, la chiave del futuro sta nel passato e possiamo esaminare la nostra attuale situazione del clima alla luce di un problema più vecchio: la fame nel mondo, che è passata attraverso un percorso di percezione ed azione che potrebbe andare in parallelo col problema climatico.

Le carestie hanno una storia lunga e, in tempi antichi, venivano spesso percepite come “atti di Dio”. L'idea che si potesse fare qualcosa contro la fame impiegava del tempo a penetrare la consapevolezza del genere umano e forse possiamo trovarne un primo assaggio nel saggio satirico intitolato “Una modesta proposta” scritto nel 1729 da Jonathan Swift (più famoso per i suoi “Viaggi di Gulliver”), dove proponeva che gli irlandesi poveri dovessero vendere i loro figli come cibo agli inglesi ricchi. Leggendolo, si percepisce la frustrazione che sentiva Swift per il modo in cui venivano percepiti i problemi dell'Irlanda ai suoi tempi e, chiaramente, la fame non era una preoccupazione per l'élite di quel tempo. Uno dei risultati è stata la risposta lenta ed inefficace del governo britannico alle carestie irlandesi che sono sopravvenute in seguito, in particolare la grande carestia del 1845 che ha ucciso milioni di persone.

Le percezioni sulla fame nel mondo sono cambiate a metà del XX secolo e l'interesse per il problema è cresciuto rapidamente ed ha raggiunto un picco negli anni 80.Da lì in poi è diminuito, ma è rimasto un problema chiaramente visibile, una cosa sulla quale siamo tutti d'accordo che bisogna agire. Possiamo sperare per un'evoluzione simile del concetto di cambiamento climatico? Se usiamo Google Ngram viewer, possiamo confrontare i termini “fame nel mondo” (world hunger) e “cambiamento climatico” (climate change) ed ecco il risultato:



Non dovremmo prestare troppa attenzione alla grandezza relativa delle curve. Ciò che conta è che la curva del “cambiamento climatico” non si è ancora saturata, ma l'uso del termine sta crescendo rapidamente. La curva potrebbe impiegare ancora del tempo prima di raggiungere il picco, ma potrebbe arrivare un momento in cui l'importanza del cambiamento climatico diventa ovvia e nessuno lo negherà più.

Sono buone notizie, ma c'è un problema. Supponiamo che arrivi il momento in cui tutti sono d'accordo che il cambiamento climatico è un grosso problema e che dobbiamo fare qualcosa per questo. Verrà fatto qualcosa? Verrà fatto qualcosa sufficientemente in fretta? E verranno fatte le cose giuste? Su questo punto, ho paura che ci saranno problemi. Grossi problemi.

Torniamo alla fame nel mondo: la maggior parte delle persone oggi sembra essere d'accordo sul fatto che sia una storia finita bene e che il problema sia stato risolto dalla cosiddetta “rivoluzione verde,” ovvero con un forte aumento della produzione di cibo il tutto il mondo. E' stato sicuramente un notevole successo tecnologico, ma ha risolto il problema? O non ha semplicemente creato una folle corsa fra produzione di cibo e popolazione? In questo caso, rendiamo soltanto il problema più grande, al posto di risolverlo (un caso della trappola del “cigno nero”). E la rivoluzione verde è tutta basata sull'idea di trasformare i combustibili fossili in cibo. Ma se la popolazione continua ad aumentare, mentre le riserve di combustibili fossili possono solo diminuire, avremo grossi problemi. In realtà, problemi enormi. Non risolveremo mai il problema della fame se non riusciamo a stabilizzare la popolazione umana.

La reazione della specie umana al cambiamento climatico potrebbe essere la stessa cosa. Una volta che riconosceremo finalmente che è un problema, potremmo cercare alcune soluzioni tecnologiche rapide per risolverlo e questo potrebbe soltanto rendere il problema più grande. Pensate alle varie proposte di ingegneria climatica che comportano la diffusione di sostanze riflettenti nell'alta atmosfera. Se qualcuna di queste proposte fosse messa in pratica, potremmo continuare ad emettere gas serra senza generare riscaldamento atmosferico, e probabilmente lo faremmo. Quindi, con le emissioni che aumentano, avremo bisogno di più schermatura dei raggi del Sole e, con più schermatura, continueremmo ad emettere sempre di più. Sarebbe un'altra folle corsa fra emissioni e schermatura. E se qualcosa andasse storto con la gestione della radiazione solare? Qualcosa che non abbiamo previsto e che non abbiamo capito? Ci troveremmo in grossissimi guai (qualcuno ha detto “cigno nero?”). Non risolveremo mai il problema climatico se non riusciamo a stabilizzare la concentrazione di gas serra nell'atmosfera.

A nessuno piace di giocare il ruolo del catastrofista ma qui è chiaro che abbiamo un problema gigantesco. Non è tanto un problema fisico o tecnologico, è che non abbiamo mai sviluppato metodi per risolvere problemi complessi mondiali, tendiamo più che altro a peggiorarli. Succede sempre (solo come un altro esempio, viene in mente la situazione politica in Nord Africa e in Medio Oriente). Ci sono stati diversi tentativi di sviluppare modi nuovi e più efficaci per affrontare grandi problemi, come concentrarsi sui punti di leva del sistema. Questi metodi fanno veramente una differenza, ma ci sarà mai qualche decisore politico che vi presterà attenzione?