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martedì 7 aprile 2020

Coronavirus: Come siamo messi? I dati veri cominciano ad arrivare


Il coronavirus quello "vero" come appare al microscopio elettronico, non quello di colorato, quasi di peluche, che è la sua immagine comune (foto dal New Scientist) (ammesso che sia proprio quello: se avete mai usato un microscopio elettronico sapete quanto e facile prendere fischi per fisarmoniche)


Avrete notato anche voi che la maggior parte dei vostri interlocutori non riescono a ragionare in termini quantitativi. Un solo esempio: vi site mai sentiti dire che "non è vero che il virus uccide solo le persone anziane: sono morti anche dei giovani."? Provate a spiegare al vostro interlocutore come stanno le cose in termini statistici e vi accorgete con orrore che molta gente proprio non ha il concetto di "probabilità statistica" o perlomeno non riesce a gestirlo nel "modello del mondo" che ha in testa. Per non parlare di essere in grado di leggere un diagramma cartesiano -- anche qui è facile accorgersi con orrore che tantissimi non ci riescono. Figuriamoci a parlargli di modelli epidemiologici

E' quello che succede anche sui media: ogni giorno ci dicono il numero dei morti e, se va bene, lo comparano a quello del giorno prima. Non viene mai comparato alla tendenza, e neppure inquadrato con i dati storici. Il risultato è che molta gente è terrorizzata: non riescono a valutare l'impatto reale dell'epidemia e si sono convinti che moriremo tutti. Altri invece si sono convinti dell'opposto, ovvero che l'epidemia è una bufala messa in giro dai poteri forti per imbrogliarci.

Tuttavia, a parte l'ignoranza diffusa e il complottismo imperante, esiste anche una realtà. Vediamo allora di quantificare un po' la situazione. Come tutti sapete, i dati sulla diffusione dell'epidemia sono molto incerti per tante ragioni, però, ci sono dei dati che non sono inficiati da fattori umani: i morti non si possono nascondere in cantina. Contare il numero totale dei decessi di quest'anno e poi confrontarli on quelli degli anni passati ci da un buon modo valutare il dnno che il coronavirus ci sta facendo. Va fatto con un po' di attenzione, altrimenti si finisce per fare l'errore che ha fatto il sito "Disquisendo" che ha sostenuto che l'epidemia non esisteva. L'approccio era giusto, erano i dati che erano sbagliati.

Quindi, come per tutte le cose, bisogna lavorare sui dati giusti e valutarli criticamente. Qui, però c'è il problema che le tabelle ISTAT con i dati di mortalità nazionali questi dati si fermano per ora al Novembre 2019. Dovremo aspettare qualche mese per avere dati certi, ma questo non vuol dire che non si possa già fare qualche stima.

Da quello che sono riuscito a trovare sul Web, ci sono tre sorgenti di dati aggiornati utilizzabili per una valutazione comparativa della mortalità. 1) ISTAT, 2) Euromomo e 3) Ministero della Salute. Anche il sito dell'istituto superiore di sanità (ISS) fornisce molti dati statistici, ma non ne ho trovati sulla mortalità comparata. Allora, vediamo cosa abbiamo.


 Per cominciare, un inquadramento generale da ISTAT per mettere le cose in prospettiva


Vedete come in Italia muoiono oggi circa 640.000 persone all'anno. Non solo, ma la mortalità aumenta gradualmente. Dal 2004 a oggi, è aumentata a una media di circa 7000 decessi in più ogni anno, un aumento quasi costante di più dell'1% all'anno. Oggi muoiono quasi 100.000 persone in più rispetto a 15anni fa. E' probabilmente il risultato della quota di anziani della popolazione che si avviano a concludere il loro percorso terreno. In più, è possibile che ci siano fattori come l'inquinamento, le ondate di calore, la dieta di bassa qualità che fanno i loro danni. Notate anche le oscillazioni nei dati: nel 2015 ci sono stati quasi 50.000 decessi in più del 2014, e nessuno sa esattamente perché. Fra le altre cose, notate la "forbice" fra nati e morti: è un deficit di 200.000 persone all'anno che continua ad allargarsi -- ma non entriamo in questo argomento.

Adesso vediamo cosa possiamo dire dell'effetto dell'epidemia sulla mortalità


ISTAT: comiciamo dai dati che ha pubblicato ISTAT a proposito di un campione di circa 1000 comuni Italiani, aggiornati al 1 Aprile 2020. Ecco qua i dati: anno e numero di morti

  • 2015: 34339
  • 2016: 30411
  • 2017: 35018
  • 2018: 33520
  • 2019: 33575
  • 2020: 40244
Sono dati interessanti ma non sono utili per una valutazione quantitativa. Non tanto per il campione statistico limitato, quanto per il fatto che ISTAT ha scelto di considerare solo quei comuni dove c'era stato un aumento di mortalità di almeno il 20% rispetto agli anni precedenti. Evidentemente, erano interessati a valutare l'impatto a livello locale. E, in effetti, certi comuni sono stati pesantemente colpiti con aumenti di mortalità anche di un fattore 3. Ma non possiamo estrapolare questi dati a livello nazionale e nemmeno regionale. Ci ha provato Vision ma, onestamente, mi sembra che abbiano sparato a caso. Limitiamoci a dire che questi dati dimostrano che l'epidemia ha fatto grossi danni in certe zone.

Euromomo. Il nome orribile vuol dire semplicemente "European Mortality Monitoring." Loro hanno dei dati abbastanza generali, anche se i grafici che forniscono sono abbastanza orribili anche quelli. Ecco qua il risultato più significativo (è quasi illeggibile, lo so, ma è così che loro lo mostrano). E' la mortalità settimanale in Italia per tutte le regioni e per tutte le classi di età.


Allora, sull'asse Y c'è un "indice di mortalità", su quello X ci sono gli anni. Parte da Maggio 2016 e arriva a comprendere la 13 settimana del 2020, ovvero fino al 31 Marzo. I dati sono "aggiustati" per tener conto del ritardo nella trasmissione dei dati, ma sembra che questo sia un lavoro fatto da professionisti e mi fiderei abbastanza. Vedete che c'è in effetti un aumento della mortalità che possiamo ragionevolmente attribuire al coronavirus. Notate però che la mortalità non è peggiore di quella del gennaio del 2017 (il picco nella parte sinistra nella curva) causata da una combinazione di freddo e influenza. A quell'epoca ci furono circa 20.000 decessi in più rispetto alla media e nessuno ci fece molto caso. Notate anche che il la curva dei decessi sembra aver passato il massimo e cominciare a calare, il che sembrerebbe in accordo con altri dati che indicano che abbiamo passato il "picco" dell'epidemia. Estrapolando, sembrerebbe poter dire che anche il coronavirus causera circa 20.000 decessi aggiuntivi, in accordo con altre analisi.

Ministero della Salute. Qui credo che ci siano i dati più interessanti, riportati sul sito del Dipartimento della Salute del Lazio. Ci sono dati comparativi della mortalità su base nazionale di quest'anno comparata con una media dei 5 anni precedenti. Attenzione che questi NON sono dati completi, ma si riferiscono a un campione di 19 città: (Aosta, Bolzano, Trento, Trieste, Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia, Bologna, Genova, Perugia, Civitavecchia, Roma, Frosinone, Bari, Potenza, Messina, Palermo). Notare che la maggioranza sono città del Nord, il campione è sbilanciato, ma è quello che abbiamo.


Qui vediamo che l'epidemia ha colpito duro al Nord, con quasi il raddoppio della mortalità rispetto alla media giornaliera attesa. Al Centro-Sud, invece, l'aumento è appena percettibile, forse nemmeno statisticamente significativo. Non sappiamo esattamente perché questa disparità. Potrebbe darsi che l'epidemia non si è diffusa al Sud perché è stata bloccata dal lockdown. Ma potrebbe anche essere per via del fatto che la popolazione al Nord è mediamente più anziana che al Sud. Oppure per fattori come il clima e l'inquinamento. Il legame fra inquinamento e epidemia non è stato dimostrato con certezza ma è perlomeno un legittimo sospetto.


Per riassumere


I dati di mortalità comparata indicano che l'epidemia di coronavirus non è assolutamente una bufala: esiste e ha colpito abbastanza duramente il Nord Italia. Non possiamo ancora usare questi dati per stimare quale potrebbe essere il numero totale di vittime, ma dai dati Euromomo e altri sembrerebbe chiaro che abbiamo "scavallato" il periodo peggiore. Le varie proiezioni si assestano sulle 15.000 -20.000 vittime, qualcuno dice 30.000 -- alla fine dell'anno potrebbero essere di più, ma non di ordini di grandezza. Non sono poche, ma sono comparabili alla variabilità statistica osservata nel passato per la mortalità della popolazione italiana.

In sostanza, siamo di fronte a un problema serio, ma non a quello che in inglese si chiama "existential threat" ("minaccia esistenziale"). Ovvero, non è a rischio la sopravvivenza fisica della popolazione italiana e non è nemmeno possibile che il danno diretto da coronavirus metta a repentaglio la capacità del paese di gestire la sua economia e le sue infrastrutture.

Presto avremo dati migliori, ma quello che sappiamo potrebbe essere già sufficiente per pensare al futuro. Si parla già di cominciare a sbloccarre il paese e, in effetti, va assolutamente fatto, altrimenti andiamo in rovina. (e non è detto che non ci andremo: la sopravvivenza economica del "sistema italia" potrebbe essere già stata compromessa in modo irrimediabile)

Purtroppo, come dicevo all'inizio, il problema è la grave carenza culturale del dibattito. Non solo non si riesce a valutare seriamente il problema, ma nessuno sembra riuscire a pensare ad altro metodo per risolverlo che a trovare un trucco per stampare soldi in quantità e distribuirli a pioggia ai propri amici per ricominciare a fare le stesse cose che facevamo prima, incluso inquinare e cementificare ovunque. Ma così stanno le cose. Ho l'impressione che, come sempre, cammineremo verso il futuro a testa bassa e portando occhiali molto scuri.




Nota: qualcuno mi ha fatto notare che questa analisi non tiene conto della diminuzione degli incidenti stradali come effetto del blocco. Vero, ma l'effetto è molto piccolo. In Italia i morti per incidenti stradali sono poco più di 3000 all'anno, ovvero meno di 10 al giorno. Anche assumendo che si siano ridotti a zero col blocco, i numeri dell'analisi non cambiano.


giovedì 19 giugno 2014

Dodici regole per sopravvivere

Di Jacopo Simonetta

Quando si pianifica un viaggio in una regione sconosciuta, ci prepariamo con mappe, portolani e guide, chiediamo informazioni a chi ci è già stato.   Ma noi stiamo partendo per un’epoca storica sconosciuta e nessuno ci può dare informazioni perché nessuno ci è già stato.   Sacerdoti, maghi e professori possono al massimo delineare degli scenari generali più o meno realistici, ma cosa accadrà ad ognuno di noi rimarrà un mistero finché non sarà accaduto.  
Così, non potendo chiedere consiglio agli uomini del futuro, siamo costretti a chiederne a quelli che nel passato hanno affrontato con successo periodi particolarmente difficili.   Cosa ci possono insegnare di utile?

Secondo me, la cosa principale che possiamo imparare da loro è che le capacità manuali, le conoscenze, le dotazioni tecniche e le riserve economiche sono importanti, ma solo se supportate da un adeguato modo di pensare e di sentire; direi un modo resiliente di porsi nei confronti dell’ambiente e degli altri umani.   Direi anzi che la capacità psicologica e spirituale di affrontare le difficoltà è la primissima cosa da porre nel nostro bagaglio dato che servirà sempre e comunque, mentre non possiamo sapere quali capacità pratiche, quali attrezzature, quali scorte ci potranno davvero servire.   Ad esempio, le armi possono costituire una protezione, ma anche attirare terribili minacce.   L’oro può essere un ottima riserva, ma può essere requisito o messo fuori legge; i campi possono nutrire, ma i contadini possono essere scacciati o schiavizzati e così via.    Invece, la capacità di vivere esperienze traumatizzanti senza perdere la voglia di vivere e la forza di reagire efficacemente saranno utili in qualsiasi situazione.

Quindi, abbiamo bisogno di un atteggiamento mentale tagliato su misura per i tempi difficili, ma quali sono gli ingredienti di un tale atteggiamento?   Senza alcuna pretesa di completezza, ne elenco qui una dozzina.   Ovviamente, come tutte le virtù, anche queste richiedono soprattutto misura, perché se si eccede, le virtù diventano vizi.   La parsimonia diventa tirchieria, la prudenza viltà, il coraggio ferocia, ecc.  E la misura è da sempre la suprema e più difficile delle virtù.

Dunque, in ordine sparso, dodici regole per la sopravvivenza:

1 – Parsimonia.   Tutti i poveri della storia hanno sviluppato una sapiente parsimonia, ma in alcuni popoli questa abitudine accomuna anche la maggior parte delle persone agiate e perfino molte fra quelle ricche.   Probabilmente perché coscienti del fatto che, in qualunque momento e con poco o punto preavviso, condizioni favorevoli possono diventare decisamente ostili.   E quando questo succede, la sopravvivenza dipende in gran parte dalla rapidità con cui ci si riesce ad adattare cambiando stile di vita, lavoro, oppure fuggendo altrove; ma anche dall’aver accumulato delle riserve che aiutino a superare i momenti peggiori.

2 – Pazienza.   Quando le cattive notizie, o più semplicemente le seccature, sono la regola; oppure quando gli ostacoli da superare per ottenere cose semplici sono assurdamente alti, solo un lungo addestramento alla pazienza può evitare gesti che facilmente provocano situazioni ancor peggiori di quelle contro le quali si lotta.

3 – Memoria.   La memoria è lo spazio protetto entro il quale si conserva il proprio tesoro, la propria identità personale e collettiva.   I soldi, le proprietà, la libertà e la vita possono essere perdute, ma finché rimane la memoria una comunità continua a vivere.   Memoria è anche ricordare chi ti ha fatto del male e chi del bene; ed attendere pazientemente l’occasione per poter ripagare entrambi.

4 – Solidarietà.   Strettamente correlato alla memoria è il sentimento di identità che accomuna tutti i membri della famiglia e della comunità.   Fra i singoli individui è normale che vi siano delle antipatie od anche delle inimicizie, ma di fronte ad un pericolo esterno far fronte comune è vitale per la sopravvivenza di tutti.   Così come, anche in tempi tranquilli, il mutuo sostegno fra persone socialmente diverse è fondamentale per consolidare la solidarietà ed il senso di identità.   La generosità verso gli altri del gruppo non contrasta, ma anzi è sinergica con la parsimonia nei confronti propri, a condizione che la generosità sia accortamente reciproca come sempre avviene nei gruppi coesi.   Ma soprattutto solidarietà significa che nessuno della comunità sarà abbandonato nel bisogno; il che implica anche l’obbligo per ognuno di sostenere gli altri.

5 – Responsabilità.   Dopo 50 anni di sistematica deresponsabilizzazione del cittadino troviamo che è difficile far funzionare qualcosa.   Strano!    Un’occhiata anche superficiale alle culture che hanno saputo sopravvivere nelle difficoltà rivela un atteggiamento del tutto opposto, spesso spinto fino ai limiti della tollerabilità.   Che ognuno si faccia carico delle proprie responsabilità è però un ingrediente indispensabile affinché le persone possano fidarsi le une delle altre ed una società qualsiasi possa funzionare.

6 - Discrezione.   La mimesi è una strategia di sopravvivenza molto diffusa ed efficace.   Proprio per questo quando un governo ha interesse a discriminare o perseguitare qualcuno comincia con il costringerlo ad essere facilmente riconoscibile.   Per chi si pone in un’ottica di resilienza, questo significa prima di tutto cercare di non dare nell’occhio alle autorità.   Ad oggi questa è una regola di igiene fondamentale in molti paesi del mondo e non è detto che in futuro non lo diventi anche qui.   Abbiamo già visto come il livello di controllo dello stato sui cittadini si stia facendo di giorno in giorno più capillare.   Per il momento con effetti complessivamente positivi in quanto ha permesso di smascherare un buon numero di delinquenti, ma cambiando le cose, in futuro, gli stessi strumenti potrebbero essere utilizzati per scopi diversi.

7 – Adattabilità.   Noi siamo abituati a pensare che il domani sarà simile all’oggi; una fitta rete di consuetudini e di regole ci proteggono dagli imprevisti.   Troveremmo insopportabile sapere che in qualunque momento la nostra vita può cambiare drasticamente, ma questa è già la realtà per molte persone e lo diventerà per molte di più.   Si pone quindi la necessità di perdere ogni rigidità ed imparare a vivere sapendo che non possiamo avere certezze circa dove saremo e cosa faremo domani.   Le certezze minime indispensabili dovremo cercarle esclusivamente dentro di noi e nei nostri sodali.

8 – Gratitudine.   Noi siamo abituati a dare per scontato che ci sarà del cibo in tavola, dell’acqua dal rubinetto, dell’elettricità nella presa, degli abiti nell’armadio ecc.; siamo anzi abituati a pensare che questi siano dei diritti inalienabili e che perciò qualcuno ce li deve garantire.   Ma cosa, in realtà, ce li ha garantiti finora?   Semplicemente un sistema di mercato che, pezzo per pezzo, si sta disintegrando.   Alcuni, anzi, sono felici di questo giudicando il mercato colpevole di infiniti misfatti il che è sicuramente vero, come è anche vero che per decenni ha garantito molti dei nostri pretesi diritti.   Man mano che l’economia attuale andrà sfaldandosi, ci renderemo conto che niente o quasi può essere dato per scontato e, men che meno, preteso.   Dovrà invece essere procurato in modi probabilmente faticosi ed ingegnosi.   Per questo provare gratitudine per tutto ciò che di buono o di utile ci capita era un atteggiamento basilare delle culture antiche.   E con un buon motivo: il sentimento di gratitudine permette di apprezzare e di godere profondamente di cose come mangiare, bere, svegliarsi la mattina nel proprio letto.

9 – Cinismo.    Nella nostra cultura è considerato un grave difetto e non di rado viene usato come insulto.   Eppure cinismo vuol dire semplicemente guardare in faccia i fatti per come appaiono (non necessariamente come sono) senza cercare di abbellire o sminuire quelli che non ci piacciono.   Significa, anche, aspettarsi che le cose è più facile che vadano male,piuttosto che bene per noi.   Se non si esagera, si tratta di un atteggiamento di grande aiuto per non farsi cogliere del tutto impreparati ad eventi nocivi.

10 – Autoironia.   La capacità di ridere dei propri difetti e delle proprie calamità aiuta a ridimensionare e tollerare sia gli uni che le altre.   Inoltre, quasi ogni tragedia contiene aspetti ridicoli o lascia lo spazio per uno scherzo, una battuta, un momento di rilassamento che è necessario saper cogliere e gustare.   Ridere di sé stessi e delle proprie fissazioni è un eccellente (anche se parziale) antidoto alla paranoia.

11 – Mobilità.   Il radicamento sul territorio, così forte nelle culture contadine, può rivelarsi una trappola mortale in caso di grave crisi.   La capacità di abbandonare tempestivamente una zona per andare a cercare miglior fortuna altrove è una delle caratteristiche che da secoli contribuiscono alla resilienza di parecchi popoli.

12 – Coraggio.   Questa è una delle virtù fondamentali presso tutti i popoli che intendano sopravvivere.   Coraggio vuol dire innanzitutto essere disponibili a rischiare la propria incolumità, la propria vita ed i beni per proteggere altri membri del gruppo.   E’ questa una pulsione atavica sempre presente, ma che certe culture hanno coltivato e promosso, mentre altre la hanno repressa ed inibita.   Può sembrare in contrasto con la prudenza, ma non lo è.    Un conto è, infatti, essere disponibile a sacrificarsi quando necessario, altro conto è creare rischi supplementari con inutili smargiassate.


Ho più volte fatto riferimento alla comunità come unità di base della sopravvivenza, ma quali sono i limiti che definiscono la propria comunità?   In passato l’appartenenza era definita dalla tradizione.   Oggi non credo che avrebbe molto senso cercare di recuperare identità morte e sepolte, credo piuttosto che sarà l’effetto combinato delle scelte individuali e degli eventi che costruiranno ex-novo o quasi le comunità del futuro le quali, se saranno sufficientemente resilienti, diventeranno tradizionali nel giro di poche generazioni.   Del resto, oggi i sociologi parlano molto di “neo-tribalismo” e può darsi che si tratti proprio della fase preliminare di questo processo.
Ma, ammesso che queste caratteristiche siano strumenti utili alla resilienza, come acquisirle?

Tradizionalmente, gli atteggiamenti mentali radicati fra la propria gente si assimilavano inconsciamente durante l’infanzia, per la forza della tradizione e per la quotidiana lotta contro le difficoltà.   Ed è proprio la sostanziale mancanza di difficoltà reali per un periodo di oltre 50 anni che ci ha resi così vulnerabili.   E’ impressionante come situazioni del tutto normali come la presenza di un insetto od uno scroscio di pioggia siano oggi sufficienti a spaventare molte persone.   Anche il solo pensiero di un’ipotetica difficoltà può essere sufficiente a creare angoscia.   Lo sa bene chi si occupa di divulgazione in campo ambientale che, normalmente, si trova davanti un rifiuto ad ascoltare perché per molti è insopportabile anche solo parlare del fatto che il nostro modo di vivere potrebbe essere agli sgoccioli, oppure che il tenore di vita desiderato potrebbe non essere mai raggiunto.

Come abbiamo perso la capacità di provvedere ai nostri bisogni materiali, abbiamo perso anche la capacità psicologica di fronteggiare le difficoltà   Una menomazione ancor più grave perché come recuperarla?

Solo l’esercizio quotidiano può sviluppare le capacità fisiche e cognitive; analogamente, solo l’esercizio  quotidiano che possiamo fare fronteggiando difficoltà reali ci può permettere di sviluppare le nostre capacità latenti nei campi sopra citati.   Possiamo quindi cercare delle difficoltà opportunamente scelte e dosate, come ad esempio esporsi alle intemperie, alla fame od a rischi di vario genere, e potrebbe essere utile.   Ma soprattutto saranno gli eventi stessi della storia che ci offriranno le condizioni migliori per allenarci e che ci sottoporranno agli esami di maturità.   Non dobbiamo temere di mancare di occasioni in tal senso.

Come dice Carolyn Baker: “Il collasso della civiltà industriale ci costringerà a fare o non fare molte cose, ma sopra di tutto, ci costringerà a dirci la verità – la verità sul nostro ambiente, le nostre risorse, il nostro uso ed abuso del denaro, la nostra disconnessione con la comunità terrestre – e soprattutto, ci costringerà a dirci la verità su noi stessi” (Collapsing consciously North Atlantic Books 2013).  

Questo, se scrutiamo in fondo a noi stessi, è forse la cosa che spaventa di più molti di noi.