mercoledì 5 marzo 2014

Collasso: come siamo messi?

Da “MAHB”. Traduzione di MR.

Apocalípico I di Mauricio García Vega


Abbiamo avuto notevoli dubbi sull'opportunità di pubblicare questo articolo che contiene molteplici inesattezze. Alla fine, ci è parso il caso di metterlo on line dato che è stato scritto da due autori ben noti nel campo degli studi sulle risorse naturali, Paul e Anne Erlich, autori fra le altre cose di quella "The Population Bomb" che è stato uno dei primi documenti (risale al 1968) a segnalare con molta forza il problema della sovrappopolazione. Qui, abbiamo un documento di un certo interesse nel suo tentativo di una valutazione generale della situazione. Purtroppo è un approccio che soffre, appunto, di molte inesattezze e non poche banalità. Quindi, lasciamo al lettore il compito di leggere questo articolo con una certa cautela e molta attenzione.  (U.B)


Collasso: come stanno evolvendo le nostre possibilità?
Di Paul R. Ehrlich e Anne H. Ehrlich

E' passato poco più di un anno da quando abbiamo provato a valutare la probabilità che l'odierna tempesta perfetta di problemi ambientali porterà a un collasso della civiltà. [1] Sembra un momento appropriato per vedere come gli eventi e le scoperte recenti possano aver cambiato le possibilità. Le tendenze nei principali motori di distruzione continuano inesorabili. L'Ufficio di Riferimento per la Popolazione, che nel 2012 ha previsto che la popolazione mondiale nel 2050 sarebbe stata di 9,624 miliardi di persone, ha previsto nel 2013 una popolazione di 9,727 miliardi di persone sempre per il 2050, come risultato di un leggero aumento del tasso di fertilità globale. C'è un lieve segnale di diminuzione dei consumi, col potere d'acquisto medio che globalmente cresce (ma con grandi differenze geografiche). Ci sono prove crescenti che il cambiamento climatico antropogenico non stia solo aumentando la temperatura media globale, ma che stia anche aumentando la probabilità di eventi atmosferici estremi. Quest'ultimo aspetto è stato particolarmente distruttivo in parti del “paniere” americano, essenziali per il mantenimento degli approvvigionamenti umani di cibo.

Ancora più preoccupante, sembra che ci sia un'escalation di scoperte di "retroazioni positive" come la fusione del ghiaccio marino artico, che diminuisce la riflettività e quindi accelera il riscaldamento mentre ironicamente causa sgradevoli blizzard nel nord degli Stati Uniti. Il riscaldamento porta anche ad ulteriore riscaldamento aumentando il flusso del gas serra metano nell'atmosfera mentre il permafrost si scioglie e probabilmente i clatrati di metano (complessi di ghiaccio e metano che stanno sotto agli oceani settentrionali) si disintegrano con il riscaldamento degli oceani. Altre retroazioni positive stanno chiaramente riducendo le possibilità di mantenere la distruzione del clima entro limiti “gestibili” (se questi non sono già stati superati). Le recenti analisi delle situazioni del clima e dell'agricoltura [2] dipingono un quadro sempre più oscuro. Infatti, ci sono prove crescenti di un possibile fallimento nella generazione di ulteriori aumenti nei rendimenti delle colture che sarebbero necessari per nutrire 9 miliardi di persone nel 2045, anche se la distruzione climatica non colpisse duramente l'agricoltura. Ci sono anche problemi inevitabilmente crescenti che colpiscono gli sforzi per ottenere le risorse minerali necessarie alla civiltà industriale.

Infine, ci sono segnali che le grandi potenze, specialmente Stati Uniti, Cina e Russia, sono in competizione per le risorse in modi che potrebbero portare a grandi guerre, probabilmente nucleari. Gran parte della competizione in un Medio Oriente disintegrato è collegata all'accesso al petrolio, che avremmo potuto gradualmente eliminare se le società si fossero orientate verso la sostenibilità. La situazione internazionale, come la storica Margaret MacMillan ha indicato, ha una rassomiglianza spaventosa con quella che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale. [3] Stiamo per giungere al termine un lungo periodo senza guerre mondiali ma caratterizzato da cambiamenti tecnologici senza precedenti che i problemi ambientali e di risorse renderanno anche meno comprensibili. Mentre la globalizzazione continua in una situazione di intensificata competizione per le risorse, i movimenti reazionari tenuti insieme dalle nuove tecnologie e la mancanza di fiducia dilagano in un mondo ancora strutturato in stati nazionali con meccanismi deboli disponibili per affrontare minacce globali. Il crescente confronto militare fra Cina e Stati Uniti potrebbe finire col rendere tutti i problemi ambientali secondari. Però ci sono anche alcune buone notizie.

Il consumo totale di energia negli Stati uniti è diminuito sotto il Presidente Obama a causa di un costante aumento dell'efficienza, specialmente dei veicoli. Il consumo statunitense di carbone è sceso perché la produzione di elettricità è stata piatta e il ruolo del carbone in essa è stato ridotto, rimpiazzato dall'uso del gas naturale (che, anche tenendo conto delle emissioni per perdite nella produzione e nel trasporto, rimane molto meglio del carbone in termini di cambiamento climatico). Naturalmente, questo ha senso soltanto come “ponte” temporaneo verso un mix a minore intensità di carbonio. La produzione statunitense di petrolio sale, ma ma questo potrebbe essere un fenomeno di breve durata. Anche così, bruciare petrolio interno è meglio sia dal punto di vista economico sia ambientale rispetto a bruciare petrolio importato. E anche se l'Australia intende continuare ad esportare enormi quantità di carbone, con costi enormi per l'ambiente australiano e quello mondiale, il governo cinese si sta rapidamente avviando verso una rapida riduzione dell'uso del carbone e l'India è costretta dalle proprie finanze in quella direzione. C'è anche un rincuorante diffusione della tecnologia solare nei paesi poveri, che fra le altre cose da alle persone un maggiore accesso alle comunicazioni moderne (la qual cosa, naturalmente, può essere usata sia bene che male!).

Le zone “protette” (aree in cui la pesca è proibita) hanno mostrato un'incredibile capacità di rigenerare la pesca di prossimità. Ma, tristemente, le zone non possono tenere sotto controllo inquinamento, acidificazione o cambiamento della temperatura, quindi potrebbero rapidamente perdere il loro valore. Il Brasile ha fortemente rallentato la deforestazione in Amazzonia con una combinazione di buone politiche e con la loro buona applicazione. E le prospettive della popolazione per gli Stati Uniti sono leggermente meno fosche: la proiezione del 2012 per il 2050 di 442,6 milioni è scesa nel 2013 a 399,8. Ma ciò che è lampante è che questi cambiamenti non sono neanche lontanamente grandi o rapidi abbastanza da incidere realmente sul problema. Inoltre, non ci sono piani né alcuna tendenza nella direzione di fare la scelta più cruciale necessaria per diminuire le possibilità di collasso: un rapido ma umano sforzo di ridurre la scala di tutta l'impresa umana mettendo fine alla crescita della popolazione, dando inizio al terribilmente necessario declino generale dei numeri e limitare drammaticamente il consumo dei ricchi. Non c'è nemmeno discussione sugli elementi ovvi del sistema socio-economico che supportano una struttura che incorpora un bisogno di crescita perpetua – essendo la riserva frazionaria bancaria un obbiettivo classico che richiede un'inchiesta in questo contesto. Virtualmente ogni politico o economista pubblico presuppone ancora acriticamente che ci siano dei benefici in un'ulteriore espansione economica, anche fra i ricchi. Pensano che la malattia sia la cura.

Qualche anno fa abbiamo avuto un dissenso col nostro amico Jim Brown, un eminente ecologista. Gli abbiamo detto che pensavamo che ci fosse un 10% di possibilità di evitare il collasso della civiltà ma, a causa della preoccupazione per i nostri nipoti e pronipoti, eravamo disposti a lottare per farlo diventare un 11%. Lui ha detto che la sua stima delle possibilità di evitare il collasso era solo del 1%, ma che stava lavorando per farlo diventare 1,1%. Tristemente, le tendenze e gli eventi recenti ci fanno pensare che Jim possa essere stato ottimista. Forse adesso è il momento di parlare di una qualche forma di collasso presto, nella speranza di fare un “atterraggio” relativamente dolce. Questa potrebbe essere l'unica cosa che potrebbe preservare la capacità della Terra di sostenere l'Homo sapiens in un futuro post apocalittico.

[1] Ehrlich PR, Ehrlich AH. 2013. Può essere evitato un collasso della civiltà? Atti della Royal Society B http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/280/1754/20122845.
[2] http://vimeo.com/78610016; http://www.youtube.com/watch?v=TFyTSiCXWEE; Grassini P, Eskridge KM, Cassman KG. 2013. Distinguere fra miglioramenti del rendimento e plateau del rendimento nelle tendenze storiche di produzione delle colture. Nature Communications 4:2918 | DOI: 10.1038/ncomms3918 |www.nature.com/naturecommunications.
[3] http://bit.ly/K4rf8G



martedì 4 marzo 2014

Epidemia globale di disordini: è un effetto della carenza di risorse

Da “The Guardian”. Traduzione di MR


L'epidemia di sommosse globali è sintomatica del fallimento del sistema globale

 Da Sud America al Sud dell'Asia, una nuova era di disordini è in pieno svolgimento mentre la civiltà industriale transita ad una realtà post-carbon 

Un manifestante in Ucraina agita una catena di metallo durante gli scontri – un anticipo delle cose a venire? Foto: Gleb Garanich/Reuters

Se qualcuno sperava che la Primavera Araba e le proteste di Occupy di qualche anno fa fossero degli episodi isolati che avrebbero presto lasciato spazio a più stabilità, ecco un'altro disastro che arriva. La speranza era la ripresa economica in corso ci avrebbe riportati ai livelli di crescita pre-crisi, alleviando il malcontento che alimenta focolai di disordine civile attizzati da anni di recessione.  

Ma non è accaduto. E non accadrà. Piuttosto, l'era del dopo crisi del 2008, compresi il 2013 e l'inizio del 2014, ha visto la persistenza e la proliferazione della tensione civile su una scala che non è mai stata vista prima nella storia umana. Solo in questo mese, si è assistito allo scoppio di sommosse in Venezuela, Bosnia, Ucraina, Islanda e Thailandia. Non è una coincidenza. Le sommosse sono basate, naturalmente, su forze economiche regressive comuni che di dipanano su ogni continente del pianeta – ma quelle forze stesse sono sintomatiche di un processo più profondo e protratto di fallimento del sistema globale mentre transitiamo dalla vecchia era industriale dei combustibili fossili sporchi verso qualcos'altro. Anche prima che scoppiasse la Primavera Araba in Tunisia, nel dicembre 2010, analisti dell'Istituto per i Sistemi Complessi del New England avevano avvertito del pericolo di disordini civili a causa dell'aumento dei prezzi del cibo. Se l'indice dei prezzi degli alimenti della FAO sale al di sopra di 210, avevano avvertito, ciò potrebbe innescare sommosse in grandi aree del mondo. 

Giochi di fame

Lo schema è chiaro. Il il picco del prezzo del cibo nel 2008 è coinciso con lo scoppio dei disordini in Tunisia, Yemen, Somalia, Camerun, Mozambico, Sudan, Haiti e India, fra gli altri. Nel 2011, i picchi del prezzo hanno preceduto i disordini sociali in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa – Egitto, Siria, Iraq, Oman, Arabia Saudita, Bahrain, Libia, Uganda, Mauritania, Algeria e così via. Lo scorso anno ha visto i prezzi del cibo raggiungere il loro terzo anno più alto mai registrato ed è coinciso con gli ultimi scoppi di violenza nelle strade e di proteste in Argentina, Brasile, Bangladesh, Cina, Kirgysistan, Turchia e altrove. Da circa un decennio fa, l'indice dei prezzi della FAO è più che raddoppiato, dal 91,1 del 2000 a una media di 209,8 nel 2013. Come ha detto il professor Yaneer Bar-Yam, presidente fondatore dell'Istituto per i Sistemi Complessi al Vice Magazine la scorsa settimana:

“La nostra analisi dice che il valore di 210 dell'indice della FAO è il punto di ebollizione e ci abbiamo girato intorno durante gli ultimi 8 mesi... In alcuni dei casi il collegamento è più esplicito, in altri, dato che siamo al punto di ebollizione, qualsiasi cosa innescherà i disordini”. Ma l'analisi di Bar-Yam delle cause della crisi alimentare globale non va abbastanza a fondo – si concentra sull'impatto delle terre coltivabili usate per i biocombustibili e sull'eccessiva speculazione finanziaria sui beni alimentari. Ma questi fattori graffiano a malapena la superficie del problema".

E' un gas

Il recente caso illustra non solo un collegamento esplicito fra i disordini civili e un sistema alimentare globale sempre più volatile, ma anche la radice di questo problema nella sempre maggiore insostenibilità della nostra tossicodipendenza cronica dai combustibili fossili. In Ucraina, i precedenti shock dei prezzi del cibo hanno avuto un impatto negativo sull'esportazione di grano del paese, contribuendo ad intensificare la povertà urbana in particolare. Gli alti livelli di inflazione sono sottostimati nelle statistiche ufficiali – gli ucraini spendono in media il 75% nelle bollette domestiche e più di metà dei loro redditi in necessità come il cibo e bevande non alcoliche. Analogamente, per gran parte dello scorso anno, il Venezuela ha subito le carenze di cibo in atto guidate da una gestione politica errata con il record di inflazione in 17 anni dovuto all'aumento del costo del cibo. 

Mentre la dipendenza da importazioni di cibo sempre più costoso qui gioca un ruolo, al centro del problema di entrambi i paesi c'è una crisi energetica che si acuisce. L'Ucraina è una importatrice netta di energia, avendo raggiunto il proprio picco di produzione di petrolio e gas già nel 1976. Nonostante l'entusiasmo per il potenziale interno di gas di scisto, la produzione di petrolio dell'Ucraina è diminuita di oltre il 60% negli ultimi 20 anni, a causa si di problemi geologici sia di scarsità di investimento. Attualmente, circa l'80% del petrolio ucraino, e l'80% del suo gas, viene importato dalla Russia. Ma oltre la metà del consumo energetico dell'Ucraina è sostenuto dal gas. I prezzi del gas naturale russo sono quasi quadruplicati dal 2004. I prezzi dell'energia alle stelle sono alla base dell'inflazione che alimenta tassi di povertà insopportabili per la media degli ucraini, aggravando la divisione sociale, etnica, politica e di classe. 

La recente decisione del governo ucraino di tagliare drasticamente le importazioni di gas russo probabilmente peggiorerà questo aspetto, in quanto le le fonti di energia alternativa più economiche scarseggiano. Le speranze secondo le quali le fonti interne di energia potrebbero salvare la situazione sono piccole – a parte il fatto che lo scisto non può risolvere la prospettiva di combustibili liquidi più cari, nemmeno il nucleare aiuterà. Un rapporto trapelato della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo rivela che le proposte di prestare 300 milioni di euro per rinnovare le vecchie infrastrutture delle 15 centrali nucleari in possesso dello stato ucraino raddoppierà i già debilitanti prezzi dell'elettricità per il 2020.

“Socialismo” o “Soc-oil-ismo”?

In Venezuela, la storia è familiare. In precedenza, la Rivista del Petrolio e del Gas ha riferito che le riserve di petrolio del paese erano di 94,4 miliardi di barili e più di recente, da parte del USGS a un esorbitante 513 miliardi di barili. L'enorme aumento proviene dalla scoperta di riserve di petrolio extra pesante nella cintura del fiume Orinoco. Gli enormi costi associati di produzione e raffinazione di questo petrolio pesante, in confronto al petrolio convenzionale più economico, tuttavia, significano che le nuove scoperte hanno contribuito poco alle sfide economiche ed energetiche sempre più grandi del Venezuela. La produzione petrolifera del Venezuela ha raggiunto il picco intorno al 1999 ed è diminuita di un quarto da allora. La sua produzione di gas ha raggiunto il picco intorno al 2001e da allora è diminuita di un terzo. 

Simultaneamente, mentre il consumo di petrolio interno è aumentato costantemente – di fatto quasi raddoppiando dal 1990 – questo ha ulteriormente inciso nella produzione in declino, risultando in un tracollo delle esportazioni di quasi la metà dal 1996. Visto che il petrolio rappresenta il 95% dei proventi delle esportazioni e circa metà del bilancio dei proventi, questo declino ha massicciamente ridotto la possibilità di sostenere i programmi governativi di sostegno, compresi i sussidi cruciali.

Pandemia incombente?

Queste condizioni locali sono state esacerbate da realtà strutturali globali. Il record dei prezzi globali del cibo contrastano con queste condizioni locali e li spinge oltre il limite. Ma le escursioni dei prezzi del cibo, a loro volta, sono sintomatici di una serie di problemi che si sovrappongono. La dipendenza eccessiva dell'agricoltura globale dagli input dei combustibili fossili significa che i prezzi del cibo sono invariabilmente collegati ai picchi del prezzo del petrolio. Naturalmente, i biocombustibili e la speculazione sui beni alimentari spinge i prezzi ulteriormente in alto – solo le elite finanziarie hanno benefici da questo mentre i lavoratori delle classi medio basse ne sopportano il peso. Naturalmente, l'elefante nella stanza è il cambiamento climatico. Secondo i media giapponesi, una bozza trapelata dal secondo grande rapporto del IPCC avvertiva che mentre la domanda di cibo aumenterà del 14%, la produzione globale delle colture diminuirà del 2% per decennio a causa degli attuali livelli di riscaldamento globale, causando 1,45 trilioni di dollari di danno economico per la fine del secolo. Lo scenario è basato sun un aumento previsto di 2,5°C. E probabile che questa sia una stima molto prudente. Considerando che l'attuale traiettoria dell'agricoltura industriale sta già assistendo a plateau di rendimento nelle grandi regioni-paniere, l'interazione delle crisi ambientale, energetica ed economica suggerisce che il business-as-usual non funzionerà

L'epidemia di sommosse globale è sintomatica del fallimento del sistema globale – una forma di civiltà che è sopravvissuta alla sua utilità. Ci serve un nuovo paradigma. Sfortunatamente, scendere semplicemente in piazza non è la soluzione. Ciò che serve è una visione significativa per la transizione di civiltà – sostenuta dalla forza della gente e dalla coerenza etica. E' tempo che governi, aziende e la gente allo stesso modo si sveglino rispetto al fatto che stiamo rapidamente entrando in una nuova era post-carbon e che prima ci adattiamo ad essa, migliori sono le nostre possibilità di ridefinire con successo una nuova forma di civiltà – una nuova forma di prosperità – che sia capace di vivere in armonia col sistema terrestre. Ma se continuiamo a fare come le ostriche, dovremo prendercela solo con noi stessi quando l'epidemia diventerà una pandemia che bussa alle nostre porte.


Ecco la Fine della Crescita

Post di Mauro Bonaiuti, originariamente pubblicato sul "Fatto"




Ecco la fine della crescita

ovvero: tecnocrazia stadio supremo del capitalismo?

Mauro Bonaiuti

Il fatto

Il 14 novembre scorso - davanti alla platea degli esperti del Fondo Monetario Internazionale, riunito per la sua 14 riunione annuale, – Larry Summers, uno dei più scaltri e influenti economisti americani, ex Segretario del Tesoro, ha pronunciato un discorso per molti versi eccezionale in cui, per la prima volta in contesto ufficiale, si è parlato esplicitamente di "stagnazione secolare" o come qualcuno l'ha ribattezzata di “Grande stagnazione": a cinque anni dalla Grande Recessione - dice Summers - nonostante il panico si sia dissolto e i mercati finanziari abbiano ripreso a salire, non c'è alcuna evidenza di una ripresa della crescita in Occidente. Il discorso di Summers è stato ripreso da varie testate economiche (Financial Times, Forbs, e in Italia da Micromega e la Repubblica) oltre che dal premio Nobel Paul Krugman, che già da qualche tempo andava sostenendo tesi assai simili dal suo blog sul New York Times.

Nonostante il discorso di Summers e la conferma di Krugman abbiano ovviamente provocato molte reazioni, le loro affermazioni non hanno ricevuto sostanziali smentite, soprattutto da parte dei responsabili delle istituzioni economiche americane e occidentali. Insomma, la notizia è ufficiale: l'età della crescita potrebbe essere davvero finita e parlarne non è più eresia. Come ex-eretico, dunque, sento l'urgenza di intervenire su un tema che avevo anticipato nel mio ultimo libro La grande transizione seppure partendo da premesse molto diverse da quelle di Summers e Krugman.

L'analisi del problema

Chiariamo per cominciare come Summers e Krugman giungono alle loro conclusioni. Va detto innanzitutto che, nonostante qualche cenno al rallentamento dell'innovazione e della crescita demografica, le ragioni profonde del declino delle economie occidentali avanzate restano sullo sfondo. Il punto di partenza di Summers è pragmatico. Poichè i flussi finanziari rappresentano ormai le interconnessioni indispensabili al funzionamento del sistema economico, il collasso della finanza del 2007 ha comportato una sostanziale paralisi del sistema. È un po come se, argomenta Summers, in un sistema urbano venisse d'improvviso a mancare l'80% della corrente elettrica. Tutte le attività ne risulterebbero paralizzate. Quando tuttavia la corrente elettrica viene ripristinata, ci si aspetterebbe un ripresa dell'attività economica su livelli maggiori di quelli anteriori alla crisi: questa ripresa non c'è stata. Come si spiega questa ripresa deludente? Secondo Summers e Krugman, le trasformazioni strutturali del sistema hanno portato il tasso di interesse naturale, cioè il tasso che mantiene in equilibrio i mercati finanziari e garantisce condizioni prossime alla piena occupazione, a divenire stabilmente negativo. Per quanto incredibile possa sembrare, i due grandi economisti ci stanno dicendo che, per convincere le imprese ad investire in misura sufficiente da garantire la piena occupazione, bisognerà non solo offrire loro denaro a costo zero, ma addirittura far sì che possano renderne meno di quanto è stato prestato.

In altre parole, dunque, Summers e Krugman ci stanno dicendo che le condizioni strutturali del sistema economico sono tali per cui le imprese si aspettano mediamente che il valore di ciò che viene prodotto e venduto sia inferiore al costo di produzione (una volta dedotto una sorta di profitto normale). Naturalmente questo potrebbe sembrare un problema innanzitutto delle imprese, se non fosse che viviamo ormai in una “società di mercato” e dunque i redditi nelle loro diverse forme, e con essi la nostra vita materiale in quasi ogni sua forma, dipendono ormai interamente dalla possibilità che la macchina economica continui a funzionare.

La tentazione tecnocratica

Anche il non economista potrà a questo punto intuire che qualcosa di potenzialmente molto pericoloso si intravede in questa rappresentazione del prossimo futuro. La possibilità di realizzare investimenti profittevoli è infatti la molla fondamentale dell'attività capitalistica e dire che per convincere gli imprenditori ad investire sarà necessario offrire loro tassi di interesse negativi, sostenendo inoltre che questo non è uno spiacevole e temporaneo inconveniente ma “un inibitore sistemico dell'attività economica”, significa riconoscere implicitamente che il capitalismo è ormai un sistema entrato nel reparto geriatrico e che per mantenerlo attivo è necessario offrirgli dosi di droga finanziaria almeno costanti (ma di fatto crescenti).

Su questo ultimo punto Krugman è esplicito: “Ora sappiamo che l'espansione del 2003-2007 era sostenuta da una bolla speculativa. Lo stesso si può dire della crescita della fine degli anni '90 (legata alla bolla della new-economy). Nello stesso modo anche la crescita degli ultimi anni dell'Amministrazione Reagan fu guidata da una ampia bolla nel mercato immobiliare privato”. La conclusione è chiara: “no buble no growth” cioè senza speculazione finanziaria non c'è più crescita, e lo stesso Summers avverte che i provvedimenti presi per regolamentare i mercati finanziari potrebbero essere controproduttivi, rendendo ancora più alti i costi di finanziamento per le imprese.

Naturalmente Krugman e Summers si guardano bene dal trarre conclusioni pessimistiche sulla salute di lungo termine del capitalismo, come evitano con cura di allargare l'analisi sulle cause del malessere economico fino a comprendere tutti quei costi sociali ed ambientali che non rientrano nel calcolo degli indicatori economici tradizionali.

Tuttavia, anche limitando l'analisi a questi aspetti economici, lo scenario presentato è estremante serio e foriero di conseguenze. Questo quadro si chiarisce ulteriormente analizzando le proposte di intervento pensate dai due economisti, che indicano come sarebbe concretamente possibile rianimare un'economia nelle nuove condizioni di tasso di interesse naturale stabilmente negativo.

La prima proposta suona come una revisione in salsa tecnocratica dei tradizionali incentivi keynesiani alla spesa. Secondo Krugman si potrebbe decidere, ad esempio, di dotare tutti gli impiegati di Google Glass (una sorta di occhiale multimediale) e altri strumenti che consentono di essere perennemente connessi ad internet. Anche se poi ci si accorgesse che si tratta di una spesa inutile, questa decisione politica sarebbe comunque positiva in quanto costringerebbe le imprese ad investire... Ovviamente sarebbero preferibili speseproduttive, ma nello scenario attuale non si può andare tanto per il sottile: anche spese improduttive sono meglio di niente.

Ma questo evidentemente non può bastare. Di fronte a un tasso di interesse naturale stabilmente negativo occorre spingersi oltre. Per Krugman un modo ci sarebbe: “si potrebbe ricostruire l'intero sistema monetario, eliminare la cartamoneta e pagare tassi di interesse negativi sui depositi.” Traducendo per i non economisti questo significherebbe niente meno che togliere la possibilità ai cittadini di comprare e vendere attraverso la moneta cartacea (che per definizione non costa nulla) e rendere forzose la transazioni con carta di credito, appoggiata necessariamente su conti correnti sui quali sarebbe tecnicamente possibile un prelievo forzoso di alcuni punti percentuali l'anno. In questo modo si costringerebbe la gente a spendere di più (la ricchezza infatti si deprezza restando immobilizzata su un conto in cui si paga un interesse invece di riceverlo) consentendo inoltre di allettare, con il ricavato, le imprese recalcitranti ad effettuare nuovi investimenti. Un'altra soluzione proposta prevede di alimentare un tasso di inflazione crescente che porterebbe agli stessi risultati, riducendo progressivamente il potere di acquisto dei cittadini in modo ancora più subdolo e surrettizio.

Se queste sono le idee che sorgono alla “coscienza di un liberale” (per riprendere il titolo della rubrica di Krugman) per far fronte all'incapacità ormai cronica del capitalismo di crescere, non è difficile immaginare cosa, a partire dalla stessa lettura della realtà, potrebbe venire in mente a chi, per tradizione, ha sempre auspicato risposte tecnocratiche e autoritarie alle crisi del capitalismo. E' evidente che, una volta imbracciata questa logica, tutto si giustifica, e anche le normali libertà, come quella di decidere come e dove impiegare i propri risparmi, divengono sacrificabili sull'altare di qualche punto percentuale di PIL. La prospettiva è chiara: tutti, volenti o nolenti, credendoci o meno, si dovrà partecipare al nutrimento forzoso – per via finanziaria – della macchina capitalista.

Quanto detto è sufficiente a capire su quale sentiero si potrebbe incamminare il “riformismo neo-keynesiano” (con l'appoggio degli ex neoliberisti alla Summers) nell'era dei rendimenti decrescenti. Il tutto è tanto più serio in quanto ci troviamo di fronte non ad una crisi congiunturale, per quanto grave, ma ad un processo di rallentamento strutturale e, sopratutto, progressivo. E qui veniamo al secondo punto fondamentale.

Rendimenti decrescenti e l'impossibile ritorno al passato

Anche se si decidesse che il funzionamento della macchina economica è l'interesse supremo cui tutto è sacrificabile, dove ci porterebbe questa scelta? Cosa dire della base materiale ed energetica su cui fondare il rilancio della crescita? Su questo naturalmente i due economisti non spendono una sola parola. Perché è evidente che per quanto affidato alla finanza, un ritorno della crescita significa nuove risorse naturali da utilizzare, prodotti da vendere per poi gettare rapidamente, tutto per tenere in movimento - da una bolla speculativa all'altra - la macchina economica globale.

Qui si evidenzia la differenza incolmabile tra il keynesismo terminale di Krugman e il rilancio del sistema industriale immaginato, (peraltro con ben altre finalità) negli anni Trenta da Keynes. Quello che gli economisti tardo keynesiani sembrano non capire è quanto il contesto sia completamente mutato rispetto all'età della crescita: dove possiamo oggi costruire case o infrastrutture per rilanciare occupazione e consumi, dove trovare nuove risorse energetiche e materie prime a buon mercato, come creare nuovi consumatori offrendo loro modelli di vita capaci di trasformare in pochi anni intere società?

Se, come credo, le economie capitalistiche avanzate sono entrate già da quaranta anni in una fase di rendimenti decrescenti questo non dipende solo dalla riduzione nella produttività degli investimenti delle multinazionali. Siamo di fronte ad un fenomeno di ben più vasta portata che comprende la riduzione della produttività dell'energia (EROEI), dell'estrazione mineraria, dell'innovazione, delle rese agricole, dell'efficienza dell'attività della pubblica amministrazione (sanità, ricerca, istruzione), oltre che di una sostanziale riduzione della produttività legata al passaggio da un'economia industriale a una fondata sostanzialmente sui servizi. E sopratutto, cosa che manca completamente nell'analisi di Summers e Krugman, si tratta di un fenomeno evolutivo e dunque incrementale.

I rendimenti decrescenti, inoltre, non comportano solo una riduzione dei rendimenti dell'attività economica quanto, piuttosto, un generale aumento del malessere sociale, e questo a causa dell'aumento di svariati costi, di natura sociale ed ambientale, legati sopratutto alla crescente complessità della megamacchina tecnoeconomica, che ricadono come “esternalità” sulle famiglie e sulle comunità e che non rientrano nel calcolo degli indici economici. Occorrerà dunque ragionare in termini ben più ampi, non solo in termini di PIL, ma della capacità delle politiche di generare benessere e occupazione stabili (e in condizioni di sostenibilità ecologica e non solo economica).

In conclusione, benché sia un fatto di per sé eccezionale che i sostenitori dello status quo (sia di ispirazione neoliberista che keynesiana) siano disposti ad ammettere, pragmaticamente, la “fine della crescita”, questi non sono disposti a riconoscere che le loro proposte per tenere in vita il sistema sono ormai entrate in rotta di collisione con la libertà democratica (oltre che, da tempo, con la sostenibilità ecologica). Insomma dove il capitalismo è una cosa seria, come negli Stati Uniti, si riconoscere pragmaticamente il problema, e ci si attrezza per affrontarlo. Credo tuttavia che il problema dovrebbe cominciare ad interessare anche quelli che, nella vecchia Europa come in Italia (e sono moltissimi, a sinistra, ma anche nelle reti e nell'associazionismo di base) credono ancora alla possibilità di un capitalismo addomesticato, ad un modello di "mercato regolato" che dovrebbe produrre insieme occupazione, giustizia sociale e sostenibilità ambientale.

Dal nostro punto di vista il passaggio non traumatico dalla “grande stagnazione” ad una società sostenibile richiede un ripensamento ben più profondo e radicale dei valori e delle regole di funzionamento della nostra società, una “grande transizione” che si lasci alle spalle questo modello economico e i problemi – sociali, ecologici, economici – creati dall'ineliminabile dipendenza del capitalismo dalla crescita.





lunedì 3 marzo 2014

Ucraina: una guerra per le risorse?




L'immagine qui sopra (dal Gorshenin Institute) mostra i due principali bacini nella zona intorno all'Ucraina dove si ritiene che esistano risorse di gas naturale in forma di gas di scisto (o "shale gas"). Le riserve della zona del "Bacino di Lublino" a cavallo fra Ucraina e Polonia sono stimate come al terzo posto in ordine di grandezza in Europa. Sono anche considerate fra le più accessibili nel senso che sono in una zona poco popolata dove sarebbe più facile fare accettare agli abitanti i danni prodotti dal "fracking" per accedere alle risorse.

Così, la geologia della regione sembra portare in modo naturale allo smembramento dello stato ucraino e alla spartizione del suo territorio fra i vicini più potenti. Per gli Europei/Americani, il gas dell'Ucraina dell'est potrebbe rappresentare una risorsa dalla quale possono ottenere notevoli profitti ma che finora gli Ucraini non cedevano volentieri (come potete leggere, per esempio, in questo documento). Per i Russi, il bacino di Lublino non sarebbe raggiungibile in pratica e, comunque, loro di gas ne hanno in abbondanza. Gli interessa di più, semmai, la Crimea per il suo valore strategico e probabilmente anche l'Ucraina dell'Est con le sue riserve di Gas aggiuntive. Visti in questa luce, gli ultimi eventi sembrano avere una logica ineluttabile che conduce a una spartizione dell'Ucraina con vantaggi sia per la Russia che per il blocco Euro-Americano. Chi ci rimette, evidentemente, sono gli Ucraini, ma si sa che è così che va il mondo e quando si tratta di petrolio e gas, non si guarda in faccia nessuno.

L'unico problema è che questo famoso gas di scisto potrebbe non essere quella meraviglia di abbondanza di cui si parla. Si sa che il gas di scisto è costoso e che causa danni disastrosi a tutto quello che sta intorno alle trivellazioni. E non sarebbe la prima volta che una risorsa descritta come promettente si rivela poi un imbroglio. Vi ricordate di quando, negli anni '90, si diceva che la zona del Mar Caspio sarebbe stata "La nuova Arabia Saudita?" Beh, oggi sappiamo che, al massimo, potrebbe essere la nuova Caltanissetta (tanto per fare un confronto con un area che produce un po' di petrolio, ma vi potete immaginare che non è tanto!).

Così, anche le riserve di shale gas del bacino di Lublino potrebbero rivelarsi una clamorosa sovrastima, nonostante che i polacchi ci abbiano creduto (e non solo loro). Perlomeno, le ultime notizie che arrivano dalla Polonia sono deludenti. Un paio di mesi fa è arrivato l'annuncio che l'ENI ha abbandonato la ricerca di gas nella zona - così come hanno fatto altre compagnie petrolifere.

Curiosamente, proprio questa delusione polacca sembra aver generato un aumento di interesse nell'Ucraina. Sarà una coincidenza rispetto a quello che è successo poco dopo, certo, però come diceva Andreotti "A pensar male, di solito ci si azzecca". Guerra per le risorse, dunque, come lo sono quasi tutte le guerre. Ma chi ci dice che le risorse di gas ucraine, tanto millantate, non si rivelino poi delle illusioni proprio come quelle polacche? Chi può dirlo? In fin dei conti perché si fanno le guerre se non per delle illusioni?




Su questo argomento, vedi anche questo articolo di Ugo Bardi





domenica 2 marzo 2014

Pausa nel riscaldamento? Quale pausa?

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Grafico delle temperature dal 1950 che mostra anche la fase del ciclo El Niño-La Niña. Via NASA.

L'ultimo decennio è stato il più caldo mai registrato e il 2010 è stato l'anno più caldo mai registrato, in continuità con la tendenza a lungo termine alimentata dalle emissioni umane (vedi il grafico sopra). Tuttavia, negli ultimi 10 anni le temperature di superficie non sono sembrate aumentare rapidamente come in molti si aspettavano – anche se gli oceani hanno continuato a scaldarsi rapidamente e il ghiaccio dell'Artico si è fuso più rapidamente di quanto ci si aspettasse, così come ha fatto la grande calotta glaciale in Groenlandia e in Antartide. (Vedere qui). Ora una nuova ricerca scopre che il rallentamento nel tasso di riscaldamento della
superficie è causato dall'aumento della velocità senza precedenti degli alisei, che mescolano più calore e più in profondità negli oceani mentre portano l'acqua più fredda in superficie. Ricordate, più del 90% del riscaldamento planetario antropogenico va negli oceani, mentre solo il 2% va nell'atmosfera. Quindi piccoli cambiamenti nell'assorbimento dell'oceano possono avere impatti enormi sulle temperature di superficie.

L'autore principale, il professor Matthew England, ha spiegato in una nuova pubblicazione:

“Gli scienziati hanno sospettato a lungo che un assorbimento di calore supplementare da parte dell'oceano avesse rallentato l'aumento delle temperature medie globali, ma il meccanismo dietro al rallentamento rimaneva poco chiaro... Ma l'assorbimento di calore non è in nessun modo permanente: quando la forza degli alisei torna normale – come inevitabilmente accadrà – la nostra ricerca suggerisce che il calore si accumulerà rapidamente nell'atmosfera.   Quindi, le temperature globali sembrano destinate a crescere rapidamente oltre il periodo attuale, tornando ai livelli ai livelli previsti entro un decennio”.

I dati corretti (linee in grassetto) sono mostrati
paragonati a quelli incorretti (linee sottili). Via Real Climate
Questo è preoccupante visto che la nozione secondo cui c'è stato un rallentamento proviene in larga parte dall'esame dei dati HadCRUT4, piuttosto che sui dati della NASA. Visto che non abbiamo stazioni meteorologiche permanenti nell'Oceano artico – il luogo dove il riscaldamento globale è stato più grande – la decisione del Hadley Centre britannico di escludere quest'area ha significato che hanno sottostimato il riscaldamento recente. Una recente analisi che usa i dati satellitari per riempire i vuoti ha scoperto che il rallentamento era minore di quanto non sembrasse (vedere la figura sulla destra). La NASA, invece, ha ipotizzato che la temperatura di superficie nell'Artico sia uguale a quella delle più vicine stazioni di terra. Quindi i dati della NASA sono più precisi. In ogni caso, come potete vedere dal grafico in alto, non c'è stato nessun rallentamento nelle temperature di superficie in confronto alla tendenza a lungo termine. Ci sono stati un paio di eventi de La Niña, dal 2010, e La Niña riduce le temperature collegate alla tendenza del riscaldamento antropogenico, proprio come El Niño aumenta le temperature di superficie collegate alla tendenza. Quando vedremo il prossimo El Niño, che potrebbe essere anche quest'estate, possiamo aspettarci di vedere un altro record della temperatura globale subito dopo, nel 2014 o nel 2015. Ciò che il nuovo studio scopre è che è probabile che le temperature aumentino anche di più nei prossimi anni, visto che “l'effetto netto di questi alisei anomali costituiscono un raffreddamento della temperatura media globale dell'aria in superficie del 2012 di 0,1-0,2°C”.




Edipo e i Limiti dello Sviluppo





Vi ricordate la storia di Edipo? L'oracolo di Delfi gli predice che ammazzerà suo padre e sposerà sua madre. Uno direbbe: una scemenza totale, no? E invece Edipo ci crede completamente, gli prende un accidente e si ingegna a far di tutto per far si che la profezia non si avveri, scappando il più lontano possibile dai suoi genitori (ovvero da quelli che lui credeva fossero i suoi genitori). Così, arriva a Tebe, dove finisce per sposare la regina della città. Dopo qualche anno, gli arriva la notizia che suo padre (ovvero quello che lui credeva essere suo padre) è morto. Tutto contento, Edipo si affretta a dichiarare che l'Oracolo di Delfi aveva sbagliato tutto. Proprio una bufala, vero? Peccato che non avesse fatto troppo caso al fatto che la regina di Tebe, che lui aveva sposato, beh, aveva proprio l'età giusta per essere sua madre. Fra le altre cose, inoltre, un po prima di sposare la regina, aveva ammazzato un tale che aveva proprio l'età giusta per essere suo padre. Insomma Edipo non era proprio un mostro di intelligenza: se veramente voleva dimostrare che la profezia era sbagliata, avrebbe dovuto fare più attenzione. Poi, sapete come va a finire la storia: Edipo aveva effettivamente ucciso suo padre e sposato sua madre!


E' curioso come ci siano dei punti di contatto fra la storia di Edipo e quella dei "Limiti dello Sviluppo." Vi ricordate lo studio del 1972? Quello che aveva previsto che se non si faceva niente per evitarlo, l'economia globale sarebbe collassata entro i primi decenni del ventunesimo secolo. Ovviamente, lo studio non era una profezia, non arrivava da un oracolo, e non si supponeva che ci entrassero di mezzo gli Dei per fare avverare le previsioni. Niente del genere, ma perlomeno su un punto, sia i denigratori come i sostenitori della bontà dello studio si trovavano d'accordo. Nessuno voleva che gli scenari peggiori si avverassero. Su questo, ragionavano un po' come Edipo che, anche lui, non voleva assolutamente che la profezia dell'oracolo si avveerasse.

Ma, mentre i sostenitori dello studio suggerivano delle strategie di sostenibilità per evitare il collasso, i denigratori si comportavano come Edipo pensando che, forse, se scappavano via lontano il collasso non sarebbe arrivato. Così hanno criticato e demonizzato lo studio per poi ignorarlo completamente. Qualche decennio dopo, notando che il collasso previsto non si era verificato, hanno tirato un sospiro di sollievo dichiarando che le previsioni dei "Limiti" erano sbagliate - proprio come quando a Edipo arriva la notizia della morte di suo padre (quello che lui credeva essere suo padre)

Peccato che sia Edipo come i denigratori dei "Limiti dello Sviluppo" abbiano cantato vittoria troppo presto. Oggi, sfortunatamente per noi, lo scenario "caso base" dello studio si sta rivelando sempre più come una profezia. Perlomeno, la crescita economica che ci aveva accompagnato fino ad oggi sta rallentando e ci sono dei segnali preoccupanti che stiamo per vedere quel collasso dell'economia planetaria che lo scenario "caso base" dei "Limiti dello Sviluppo" aveva previsto entro i primi decenni del ventunesimo secolo. Non era una profezia. Era solo una possibilità che avremmo potuto evitare se fossimo stati un po' più attenti. Non lo abbiamo fatto, e adesso ne stiamo subendo le conseguenze. Anche Edipo, d'altra parte, avrebbe dovuto stare in po' più attento a chi si sposava.




sabato 1 marzo 2014

Il Collasso su richiesta di David Holmgren

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR

Di Dmtry Orlov

Gary Larson
C'è stata molta discussione nei giorni scorsi sulla recente revisione di David Holmgren del suo saggio sugli Scenari Futuri del 2007. In quel saggio, Holmgrem descrive quattro scenari alternativi, definendoli Brown Tech, Green Tech, Gestione Globale e Scialuppe di Salvataggio. Nella sua rivalutazione, Holmgren nota che il Picco del Petrolio finora non è riuscito a innescare nessun tipo di diminuzione delle emissioni di gas serra, mentre gli effetti previsti del rapido cambiamento climatico sono passati da negativi al limite del letale per la sopravvivenza umana. Notando che le strategie precedenti per fermare lo scivolamento verso la distruzione ambientale, come i negoziati internazionali, l'attivismo per il clima mainstream, il movimento delle Transition Town e tutto il resto, hanno avuto un effetto trascurabile, ha proposto un nuovo approccio:

“Credo che costruire attivamente in parallelo delle economie ampiamente non monetarie per famiglie e comunità con il 10% della popolazione abbia il potenziale di fungere da profondo boicottaggio sistemico dei sistemi centralizzati nel loro complesso, che potrebbe portare ad una contrazione di più del 5% delle economie centralizzate. Se questa è la pagliuzza che spezza la schiena al sistema finanziario globale o un punto di non ritorno, nessuno può dirlo, anche dopo che sia avvenuto”.

In risposta, Nicole Foss ha scritto una lunga e pacata riflessione nella quale spiega che ognuno di questi scenari opera su scale diverse: l'attuale treno in corsa della tecnologia marrone, compresa la produzione di petrolio e gas di scisto mediante fracking, petrolio e gas da acque profonde, sabbie bituminose e così via, è condotto su scala nazionale o internazionale; le iniziative della tecnologia verde come le installazioni solari, micro idroelettrico, passaggio dall'auto alla bici e così via, stanno avvenendo, dove avvengono, a livello di città o di regione; l'approccio di Gestione Globale funziona meglio a livello locale di città o paese e, infine, costruire scialuppe di salvataggio è più che altro un perseguimento personale o famigliare.

Sono d'accordo sul fatto che trattare questi come quattro scenari distinti è bene che vada fuorviante: queste sono solo diversi aspetti della realtà, osservabili, come indica Nicole, su diverse scale. Il Brown Tech è una serie di meccanismi di adattamento disperati: di fronte al Picco del Petrolio (la produzione di petrolio convenzionale ha raggiunto il picco nel 2005-2006) e al declino della produzione dei pozzi convenzionali, le compagnie energetiche hanno tentato di mantenere la produzione alta ricorrendo a misure disperate come il fracking e le trivellazioni nell'Artico, riuscendoci, finora, anche se a un costo più alto. In particolare, ciò che ha reso loro possibile fare questo è il magico atto di levitazione eseguito dalle banche centrali del mondo, che hanno mantenuto linee di credito globali aperte contro ogni pronostico. La mia sensazione è che quando la gravità tornerà a funzionare, il picco del petrolio si riaffermerà vendicandosi e che l'economia Brown Tech è un morto che cammina. Cerchiamo di mostrare un po' di rispetto per il morto.

Io sono, ovviamente, un fan del Green Tech. Qualche anno fa, Boston non aveva piste ciclabili, ora le ha lungo le vie principali e un programma di bike sharing di successo. Cosa c'è che non va in questo? Sono anche, a questo punto, allenato ad installare pannelli solari e generatori eolici per una facile vita off grid. Ho sperimentato una compost toilet a bordo di una barca, con risultati altalenanti, ma ne ho tratto alcune lezioni utili. A un certo punto mi piacerebbe misurarmi a saldare un convertitore di biochar. Ma tutte queste cose avranno un effetto su scala globale? Ne dubito! Di fatto dubito che ci sia qualcosa che lo avrà. Il corpo legislativo dello Stato del Massachussets ha appena votato lo stanziamento di 50 milioni di dollari per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Problema risolto! LOL!

Analogamente, la Gestione Globale suona bene. Non sono stato impegnato nella Permacultura oltre alla lettura di qualche libro. Il mio problema è che la Permacultura richiede terra ed io non ne ho. Forse un giorno arriverò a provare qualche esperimento allestendo macchie auto perpetuanti di piante commestibili su parti inabitate della costa. Ma c'è un'altro tipo di cultura di cui ho esperienza diretta: la cultura russa dell'orto in casa. L'orto può essere un salvavita. Si ha ancora bisogno di prendere periodicamente un sacco di semi da qualche parte ed è difficile sopravvivere mangiando un animale di tanto in tanto, ma può fare un'enorme differenza. Tutto ciò di cui si ha bisogno è un pezzo di terra e un po' di capacità; non servono swale, compagnie o altri concetti di Permacultura. L'orto di casa può fare la differenza su scala nazionale? Sì, può. Lo ha fatto e lo farà. C'è solo un problema: i buongustai. Questi non vogliono meramente sopravvivere mangiando una dieta bilanciata di patate, rape, cavoli e segale periodicamente incrementata con stufato di porcellino d'India, vogliono prodotti freschi e deliziosi e ricette stravaganti. Ho spesso pensato che una buona triade da lanciare per un blog che ha a che vedere col collasso sarebbe quella di includere cambiamento climatico, picco del petrolio e cibo locale delizioso, salutare e biologico. Potrebbero esserci tre tasti: l'estinzione della razza umana a breve termine ti deprime? Clicca su un altro tasto e guarda dei pomodori succulenti da far venire l'acquolina in bocca. Ma se i buongustai possono essere tenuti a bada, allora l'rto di casa diventa qualcosa dal valore di sopravvivenza.

Analogamente, non c'è niente di male nelle scialuppe di salvataggio. Io vivo in una barca, quindi ho preso il concetto oltre la metafora. Ma anche metaforicamente parlando, è una buona idea avere un piano per cosa fare in caso di chiusura improvvisa della finanza globale seguita dalla chiusura della catena globale della fornitura di tutto, dal petrolio saudita alla carta igienica canadese. Coloro che non si sono preparati affatto per questa evenienza dovranno disturbare coloro che lo hanno fatto, con risultati altalenanti. Se non vi piace pensare ai grandi disastri, pensate ai piccoli. Io ho riserve delle riserve: se l'elettricità se ne va, ho le batterie; se non posso scaldarmi col diesel, posso scaldarmi col propano; se l'acqua a riva viene a mancare, posso passare ai serbatoi interni; se i serbatoi interni si svuotano, ho delle taniche di acqua potabile. Tali piccole emergenze si verificano con una certa regolarità, quindi queste precauzioni non sono vane. Essere preparati per le piccole emergenze rende facile fare il passo successivo e prepararsi per quelle grandi.

Così, queste sono tutte sfaccettature della realtà, non scenari alternativi. Il fatto che la sfaccettatura Brown Tech si stia attualmente espandendo a passi da gigante è problematico. Sarebbe sicuramente bello se collassasse prima piuttosto che dopo. Se, come dice Holmgren, il 10% della popolazione boicottasse la finanza mondiale e la finanza mondiale collassasse, il Brown tech probabilmente chiuderebbe e basta, perché le sue attività hanno una grande densità di capitale. Ora, visto che le nostre voci – quella di Holmgre, la mia e quella di altre persone che possono essere in accordo col messaggio di Homgren – sono prevalentemente diffuse attraverso dei blog, posso fare un po' di conti e capire quanti persone come me ci vorrebbero per realizzare il cambiamento richiesto nel sentimento generale.

Questo particolare blog ha circa 14.000 visitatori unici al mese. Ipotizziamo un tasso di conversione molto alto del 50%, per cui metà dei miei lettori si impegnano a sostenere il boicottaggio di Holmgren. Sono 7.000 persone. La popolazione mondiale sono 7 miliardi di persone, il 10% di questo sono 700 milioni di persone. Dividendo l'uno per l'altro abbiamo il nostro risultato: servirebbero 100.000 attivisti/blogger come me per realizzare il cambiamento di coscienza richiesto. Domanda successiva: quanti blogger come me (più o meno) ci sono? Albert Bates ci ha fatto dono di un bel grafico che mostra tutti i più rimarchevoli.

Notate che ce ne sono parecchi nascosti lungo gli assi. A Bates interessano i mezzi (pacifici) ed è agnostico sul risultato. Altri 5 sono distribuiti lungo l'asse Ecotopia-Collasso, il che significa che sono agnostici sui mezzi. Uno – Kunstler – è agnostico su entrambi. Notate la mia posizione sul grafico: fra Greer e MacPherson. Greer pensa che il collasso impiegherà qualche secolo; MacPhearson pensa che gli essere umani si estingueranno prima di allora. Il mio sospetto è che coloro che sono in vita oggi vivranno a sufficienza per vedere la diminuzione della popolazione terrestre di almeno il 50% a causa di carestia, malattia e guerra – cioè, se se vivono abbastanza da vederla. Come puoi sapere se sei estinto se sei estinto?

Tornando ai conti: dei 22 attivisti/blogger sul grafico di Albert, quanti potrebbero assecondare il piano? Sappiamo già che Rob Hopkins si è chiamato fuori. Ha scritto che Collasso on demand di Holmgren “non è scritto per potenziali alleati nei governi locali, nei sindacati, per la potenziale ampia coalizione di organizzazioni locali che cercano di costruire i gruppi di Transizione, per la diversità dei punti di vista politici...” Sì. Posso capire perché i governi locali possano avere una visioni negativa di un piano che azzeri i suoi bilanci e perché le organizzazioni sindacali potrebbero non essere entusiaste di un piano che metterebbe tutta la loro truppa sulla linea della disoccupazione. Immagino che le “potenziali ampie coalizioni” di Hopkins dovranno semplicemente aspettare il collasso piuttosto che realizzarlo. Potenzialmente, cioè. Non che tutto questo importi, naturalmente, perché, anche se ipotizziamo che tutti saranno d'accordo col piano di Holmgren, dividendo l'uno per l'altro abbiamo ancora un 99,98% di ammanco nel numero richiesto di attivisti/blogger. Pretenzioso. Ma non lasciate che questo vi impedisca di provarci, a prescindere dai risultati (se ce ne saranno) è una buona cosa da tentare.